IL POSITION PAPER

Tim, Orfini (Pd): “Spin off della rete e integrazione con Open Fiber”

La proposta del presidente Pd: “La societarizzazione permetterebbe di superare l’impasse dello sviluppo della rete a banda ultralarga nel nostro Paese”. E su Vivendi: “Rinuncino a controllo Tim e si concentrino su Mediaset”

Pubblicato il 11 Ott 2017

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Telecom Italia (+3,3%) scatta in avanti in Borsa dopo le dichiarazioni del presidente del PD, Matteo Orfini, secondo cui sarebbe opportuno scorporare la rete e in un secondo momento integrarla con Oper Fiber (joint venture nella banda larga tra Cdp ed Enel).

ll presidente del Pd Matteo Orfini ha elaborato con Left Wing (Leftwing.it), la rivista think tank da lui fondata, un position paper molto articolato sulla vicenda Vivendi-Tim, con una serie di proposte regolatorie e di politica industriale che puntano alla societarizzazione della rete fissa di Tim (sul modello Openreach) per superare l’impasse dello sviluppo della rete a banda ultralarga nel nostro paese. Una rete unica capace di condividere tutte le diverse reti a banda larga presenti nel paese. Il documento non rappresenta la posizione ufficiale del Pd.

Orfini focalizza l’attenzione su una rete unica capace di condividere tutte le diverse reti a banda larga presenti nel paese. Serve mettere “a fattor comune”interessi diversi, per “rendere possibile quella piena integrazione tecnica e societaria degli asset di rete di Tim e Open Fiber che potrebbe essere il fattore di innesco di una situazione del tutto nuova”.

Senza per questo assumere decisioni punitive (ma nemmeno insensatamente generose) nei confronti di Vivendi, che potrebbe dal canto suo (una volta congelati i pacchetti di voto in Tim) decidere “di affiancare Cdp o altro socio stabile italiano nel controllo di Tim” e, perché no, concentrarsi pienamente sul suo vero business di media company, riprendendo le trattative con Mediaset per la costituzione di una grande media company italo-francese.

Secondo il documento, il consolidamento del debito di Tim da parte della controllante Vivendi è una misura per “tutelare i soci di minoranza della società controllata dal rischio di un depauperamento del patrimonio e della capacità reddituale della medesima, in favore della controllante, operato appunto per mezzo delle attività di direzione e controllo da parte di un gruppo estero che ha, nella sua mission aziendale di media company, obiettivi solo in parte coincidenti con quelli della valorizzazione della rete di telecomunicazioni di Tim”.

Il position paper analizza importanti alternative strategiche di politica industriale che riguardano in primo luogo “il destino di 60mila dipendenti di provata professionalità e specificità settoriale”, si legge. E ancora, “bisogna assicurare la giusta traiettoria di sviluppo, verso le tecnologie di banda ultralarga, ad una infrastruttura chiave, come la rete nazionale di telecomunicazioni”. Bisogna inoltre “indirizzare e calibrare bene le ricadute sistemiche sui settori interessati e su altri importanti attori coinvolti, quali innanzitutto Open Fiber (la joint venture al 50% Enel e Cassa Depositi e Prestiti), e il gruppo Mediaset, che con Vivendi ha un forte contenzioso, ma anche possibili, ambiziosi progetti comuni”.

Il documento ribadisce che finora Vivendi è stato “un azionista di controllo molto problematico”, avendo assunto in modo quasi “involontario” il controllo di Tim, avendo dichiarato di venire a conoscenza solo oggi (nel corso dei lavori del gruppo di coordinamento di Palazzo Chigi sul golden power) del carattere strategico dell’intera rete telefonica di Tim.

Il position paper di Left Wing dà le sue ricette per superare l’impasse: partire dal quadro regolatorio per favorire un’integrazione, anche societaria, dei diversi asset complementari che costituiscono l’infrastruttura di nuova generazione, per passare da un modello di “concorrenza infrastrutturale” ad un modello di “essential facility”, “con una rete unica nazionale tecnologicamente avanzata”, si legge, con un percorso di regolamentazione da parte della Autorità coinvolte (Agcom e Antitrust ndr) aperto a diverse opzioni, che assicuri l’accesso paritario all’infrastruttura attraverso un regime di “neutralita’” ed eventualmente disponga se necessario a tal fine, l’enucleazione di una societa’ della rete, giuridicamente distinta all’interno del gruppo Tim, sul modello inglese Openreach.

L’obiettivo è ricostituire, in modo graduale, una rete unica “che funzioni come un monopolio naturale” che, con l’intervento dell’antitrust, non costituisca un vantaggio asimmettrico, ai danni dei concorrenti, in favore del fornitore di servizi Tim, che resterebbe in una certa misura integrato verticalmente con l’infrastruttura”.

Per fare tutto ciò, in alternativa allo scorporo, si dovrebbe “consentire a Vivendi di rinunciare al fardello del controllo (ed all’obbligo conseguente di consolidamento del debito a bilancio), tutelando il valore del suo investimento, per concentrarsi al meglio sul progetto strategico di negoziare con Mediaset, su basi paritarie, la costituzione di una vera media company europea”. “Esiste infine l’ipotesi che Cassa Depositi e Prestiti, già fortemente impegnata nella partita Open Fiber, si proponga di rilevare, in tutto o in parte, la partecipazione di Vivendi (in Tim ndr), una volta superate con l’Antitrust eventuali riserve sul percorso di integrazione individuato”.

“Vivendi potrebbe mantenere una quota di minoranza in Tim – chiude il documento – oppure congelare i pacchetti di voto e rimandare cosi’ decisioni strategiche oppure affiancare Cdp o un altro socio stabile italiano nel controllo”.

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