Torna a infiammarsi lo scontro tra negozi di app e sviluppatori e stavolta è Google nel mirino, trascinata in tribunale da Tinder perché, sostiene la società del dating, costretta a fatturare esclusivamente col sistema di billing del Google Play Store. Che implica una commissione del 15% sugli abbonamenti, oltre a quella del 30% sugli acquisti in-app.
Tinder, che ha intentato causa tramite la capogruppo Match Group (insieme a tutti i suoi marchi, tra cui Match e OkCupid), ha depositato la causa contro Google presso la U.S. District Court for the Northern District of California sostenendo una violazione delle leggi antitrust con una presunta “manipolazione strategica dei mercati, promesse non mantenute e abuso di potere nel richiedere a Match Group di utilizzare il sistema di fatturazione di Google per rimanere nel Google Play Store”.
Tinder accusa: “Commissioni gonfiate”
Secondo l’accusa la richiesta di Google elimina la possibilità di scelta per gli utenti delle app di Match Group e aumenterà i costi per i consumatori consentendo a Google di addebitare a Match Group “una tassa arbitraria e discriminatoria del 15% su tutti gli abbonamenti e fino al 30% su tutti gli altri acquisti in-app, per un importo di centinaia di milioni di dollari in ‘commissioni’ gonfiate, mentre Google monetizza i dati personali di miliardi di utenti di app digitali”.
La capogruppo di Tinder afferma che Google, nel tentativo di attirare le migliori app sul suo Play Store, ha dapprima assicurato a Match Group che, se avesse abilitato gli acquisti in-app nelle sue app Android, avrebbe potuto utilizzare i propri sistemi di pagamento. Poi però, continua l’accusa, avrebbe iniziato a richiedere a tutte le app che vendono “beni e servizi digitali” di utilizzare esclusivamente Google Play Billing. “Se Match Group non rispetterà la nuova regola entro il 1 giugno, Google ha minacciato di rimuovere le app di Match Group dal Google Play Store. In effetti, Google ha già iniziato a rifiutare gli aggiornamenti dell’app Match Group che non hanno rimosso i sistemi di pagamento alternativi che esistono da tempo”, si legge nella nota per i media.
“Dieci anni fa, Match Group era partner di Google. Ora siamo i suoi ostaggi”, hanno scritto i legali del gruppo nei documenti depositati presso il tribunale californiano. La capogruppo di Tinder accusa Google di essere riuscita a monopolizzare il mercato della distribuzione di app Android proprio “grazie al successo degli sviluppatori di app più popolari”. A quel punto avrebbe cercato di mettere al bando i sistemi di pagamento in-app alternativi in modo da poter trattenere una percentuale su quasi tutte le transazioni in-app.
La replica: “Match non vuole pagare per il valore che riceve”
Google, interpellata da Engadget, ha affermato che Match Group possiede i requisiti per versare commissioni pari al 15% su ogni transazione, un valore che la società ritiene il più basso tra le “principali piattaforme di app”. Google ha anche sottolineato che “l’apertura di Android” consente a Match Group di distribuire le sue app tramite store alternativi e il sideloading se l’azienda “non desidera ottemperare” alle regole del Play Store. “Questo è solo un nuovo capitolo della campagna con cui Match Group persegue i propri interessi e cerca di evitare di compensare il grande valore che riceve dalle piattaforme mobili su cui ha costruito la loro attività”, ha dichiarato a Engadget un portavoce di Google.
Da gennaio Google ha dimezzato le commissioni sul Play Store per gli abbonamenti, portandole al 15% fin dal primo giorno, anziché 30% il primo anno e poi 15% dal successivo.
Inoltre, alla fine di marzo Big G ha annunciato una collaborazione con Spotify per testare sistemi di fatturazione di terze parti, ma secondo Match Group questo programma pilota non offre “niente di nuovo per sviluppatori o utenti” e Google avrebbe respinto la sua richiesta di essere inclusa nel pilota.
App e commissioni sotto la lente dei regolatori
“All’inizio di quest’anno, quando Google ha propagandato i vantaggi della ‘scelta per l’utente’, speravo che avrebbero aperto la strada a un Google Play Store più equo”, ha commentato Shar Dubey, ceo di Match group. “Sfortunatamente, la loro richiesta di rimuovere ora la scelta dell’utente dalle nostre app e di imporre il loro sistema di fatturazione può solo significare che a loro non interessa se gli utenti vengono danneggiati dal loro tentativo di estorcere una tariffa ingiusta dagli sviluppatori come noi, mentre le autorità di regolamentazione negli Stati Uniti stanno indagando proprio su questo problema e le autorità di regolamentazione all’estero lo definiscono illegale.
Una disputa simile ha coinvolto l’App Store di Apple, accusata di “policy monopolistiche” da Spotify in Europa e da Epic Games negli Stati Uniti. Il produttore del gioco Fortnite ha trascinato la Mela in tribunale per ottenere l’apertura dell’App Store a sistemi di pagamento esterni e a link che portano fuori dal negozio di applicazioni della Mela. In un primo grado di giudizio Epic Games ha avuto ragione, poi Apple ha fatto appello nel tentativo di ribaltare la decisione.
Apple sostiene che il suo sistema di approvazione dei software degli sviluppatori e le regole dell’App Store garantiscono privacy e sicurezza ai suoi utenti. Le commissioni che Apple trattiene per gli abbonamenti e gli acquisti in-app arrivano fino al 30% del prezzo pagato dagli utenti.