Orari di lavoro sempre più flessibili, possibilità delle aziende di controllare a distanza in maniera estremamente puntuale il lavoratore, mansioni che inevitabilmente cambieranno e dovranno essere disciplinate ex novo. Questi e altri ancora i nodi che la contrattazione collettiva di settore sarà chiamata a sciogliere di qui ai prossimi anni, a causa della penetrazione sempre più massiccia delle nuove tecnologie. Il mondo bancario sarà uno di quelli più toccati dallo tsunami 2.0. E già adesso le parti sociali sembrano essersene accorte. Proprio a marzo scorso, è stato, infatti, rinnovato il contratto nazionale di categoria ed è stato istituto dalle parti un cantiere di lavoro per adattare i profili professionali ai mutati scenari di mercato in cui l’online è destinato ad avere un peso sempre più rilevante. Ma c’è di più. Diversi gruppi creditizi, a cominciare da Intesa Sanpaolo, hanno iniziato a siglare accordi sul telelavoro, ossia il lavoro a distanza eseguito con smartphone e pc. Presto, inoltre, si dovrà affrontare anche la questione dell’offerta fuori sede: ossia dei dipendenti che abbandonano scrivania e pc per andare “porta a porta” dai clienti con il loro tablet e vendere prodotti che potranno essere sottoscritti attraverso la firma digitale.
Le nuove tecnologie trasformeranno l’organizzazione e i tempi di lavoro e la sfida dei sindacati sarà proprio quella di “conciliare i nuovi fabbisogni organizzativi delle aziende con la tutela degli addetti”, dice Paolo Tomassetti, ricercatore dell’Adapt, l’associazione per gli studi sul diritto del lavoro fondata da Marco Biagi. “Si andrà verso una contrattazione decentrata. Quella nazionale costruirà un framework di regole generali, che dovranno poi essere declinate e arricchite in ogni singola realtà d’impresa, in base alle necessità organizzative specifiche. I contratti aziendali assumeranno un valore crescente”, prevede Tomassetti.
Come si stanno muovendo le banche, a livello di contrattazione aziendale, per affrontare i cambiamenti imposti dalle nuove tecnologie?
In alcuni gruppi bancari sono già stati realizzati accordi per la sperimentazione di programmi aziendali di lavoro flessibile. L’azienda mette a disposizione dei lavoratori mezzi informatici per consentire una prestazione lavorativa a distanza, da sedi diverse da quelle dell’ufficio o presso il cliente.
Che cosa comporterà tutto questo?
È evidente che con i nuovi mezzi tecnologici, grazie ai quali si può svolgere la propria mansione ovunque, si comincerà a valutare la qualità della performance lavorativa non più tenendo conto delle ore lavorate, ma piuttosto dei risultati ottenuti. Ci sarà inevitabilmente un cambiamento nel processo valutativo. In un certo senso, per i sindacati, si potrebbe trattare di un passo indietro nella storia delle relazioni industriali, in quanto questa modalità di lavoro si avvicina al cottimo. I rappresentanti sindacali dovranno trovare un punto d’equilibrio tra l’utilizzo di questi strumenti tecnologici, la tutela dei lavoratori e la massima esigenza di flessibilità espressa dalle aziende.
La diffusione di apparecchiature tecnologiche all’avanguardia avrà impatti anche sulla delicata questione del controllo del lavoro a distanza. Il settore come sta affrontando il problema?
Sono stati firmati accordi in diversi gruppi, come ad esempio la Banca popolare di Vicenza, Deutsche Bank e Unipol, nei quali si formalizza l’impossibilità di usare gli strumenti di videosorveglianza, assai presenti negli istituti di credito, o altri apparati tecnologici per controllare l’attività lavorativa, in coerenza con quanto previsto dallo Statuto dei lavoratori. La contrattazione, dunque, si è mossa per tutelare gli impiegati da eventuali abusi. Tuttavia, in altri settori, si stanno cominciando a firmare accordi in deroga allo Statuto dei lavoratori per quanto riguarda il tema del controllo a distanza. Quello del credito, da questo punto di vista, è un mondo più conservatore.
Di che tipo di accordi stiamo parlando?
Ad esempio in alcune società di telecomunicazioni si stanno firmando degli accordi in deroga, che prevedono l’utilizzo della tecnologia per tracciare le prestazioni dei lavoratori. Non hanno finalità punitiva, ma consentono di intervenire sui dipendenti meno produttivi, senza ricorrere al licenziamento, bensì individuando percorsi di riqualificazione idonei.
Secondo lei, la rivoluzione 2.0 come cambierà l’organizzazione del lavoro e il sistema degli inquadramenti in banca?
Le nuove tecnologie genereranno un processo di polarizzazione delle competenze nel mondo del lavoro, spazzando via quelle intermedie, che saranno automatizzate. Si pensi al lavoro dello sportellista, sostituito dall’home banking. Al tempo stesso ci sarà una crescita degli skill specialistici e tecnici, mentre le funzioni a minor valore aggiunto, come ad esempio quelle operaistiche o di pulizia, resteranno invariate.
Il sistema di classificazione delle mansioni dovrà essere aggiornato e regolamentare i profili tecnologici emergenti, che sempre più saranno parte dell’organizzazione del lavoro in banca.