Gli Stati Uniti stanno pensando di imporre nuove restrizioni all’esportazione di apparechiature per la produzione di semiconduttori. Il divieto comprenderebbe sia gli impianti e gli strumenti fisici che i relativi software per la progettazione e la produzione, i laser, i sensori e le altre tecnologie utilizzate per la produzione di memorie e processori. L’amministrazione Trump vorrebbe infatti prevenire il rischio che questo tipo di apparecchiature possano cadere nelle mani di Paesi avversari degli Stati Uniti, la Cina in testa.
Con un post sul sito web del Dipartimento per il commercio americano inoltre l’amministrazione spiega che sta cercando la collaborazione del settore industriale e della pubblica opinione americana per definire le “nuove tecnologie“ e per capire se nel processo di export “ci siano delle specifiche tecnologie di base che richiedano controlli più restrittivi”.
Il giro di vite sull’export delle tecnologie da parte dell’amministrazione Trump non è il primo. In passato la Casa Bianca ha vietato l’esportazione di una serie di tecnologie alle aziende cinesi, soprattutto nel settore delle telecomunicazioni, coinvolgendo colossi cinesi del settore come Huawei, per motivi di “sicurezza nazionale”. Anche in questo caso l’amministrazione Trump ritiene che questo tipo di tecnologie potrebbe essere usato a scopi militari da potenze avversarie come “Cina, Russa o Venezuela”.
L’anno scorso l’amministrazione Trump ha finalizzato una serie di nuove regole per restringere i limiti alle esportazioni di prodotti come i computer quantistici e le tecnologie per la stampa 3D. Adesso, il governo americano ha aperto una finestra per commenti e osservazioni da parte del pubblico, che è prevista dalla legge e che si chiude 60 giorni dopo la pubblicazione sul Registro federale (che avverrà in queste ore). È probabile che interverranno soprattutto i rappresentanti di settori industriali che cercano di proteggere i propri vantaggi tecnologici nei confronti dei Paesi stranieri, a partire dalla Cina.
Quest’ultima, infatti vuole fabbricare in casa il 70% dei semiconduttori per il mercato interno entro il 2025. Il governo di Pechino, tramite il Consiglio di Stato, ha varato una serie di incentivi fiscali per le aziende di semiconduttori nazionali. Per esempio, quelle in attività da più di 15 anni e che producono i chip a 28 nanometri o anche più avanzati saranno esentate dall’imposta sulle entrate per un periodo fino a 10 anni.
Ulteriori sgravi sono previsti per le imprese che lavorano nell’ambito della progettazione e del software per i chip, in diretta concorrenza con i player di Europa e Usa che dominano il settore. Le misure annunciate rientrano nel più ampio piano industriale “Made in China 2025”, con cui la Cina mira a produrre da sola, entro fine 2020, il 40% dei semiconduttori che usa, per arrivare al 70% nel 2025.
“Da anni – ha detto Paul Triolo, responsabile della geo-technology practice di Eurasia Group – la Cina investe denaro nell’industria dei chip con finanziamenti e stimoli dal successo, finora, solo incrementale. Il settore è fortemente globalizzato, competitivo e market-driven e serve molto più che il cash per concorrere. Le nuove misure aiuteranno in alcuni ambiti, ma nel breve termine avranno solo un impatto marginale sulla capacità delle aziende cinesi dei chip di diventare più competitive sul mercato globale”.