Pechino si prepara a reagire con una raffica di contro-dazi sui beni americani per 60 mld di dollari. E’ l’ultimo atto dell’escalation della guerra commerciale fra gli Usa e il Paese asiatico. Ma Gli Stati Uniti non possono permettersi una guerra commerciale con laCina: il mondo non è più quello di dieci anni fa, quando Google poteva pensare di uscire tranquillamente dal mercato cinese per protestare contro la censura, fiduciosa che la forza del mercato interno avrebbe garantito la sua crescita nel tempo. Oggi l’America ha bisogno della Cina per sostenere il posizionamento globale delle sue imprese: non è un caso che lo stesso colosso della Internet search – come riportato ieri da indiscrezioni di stampa – sia pronto a tornare sui suoi passi e a lanciare in Cina un motore di ricerca allineato con i vincoli di Pechino e del Great Firewall.
Negli scorsi decenni la corporate America ha costruito la sua influenza globale su un numero crescente di settori industriali facendo leva sulla forza del mercato statunitense e sull’influenza geopolitica – ovvero alleanze con molti paesi amici. Anche i colossi della Silicon Valley hanno beneficiato di questa strategia, ma ora si stanno rendendo conto che la Cina segue con successo lo stesso copione e può diventare il nuovo leader globale dell’hi-tech grazie a un mercato interno gigantesco che nutre i campioni nazionali dando loro le economie di scala che servono per partire alla conquista del resto del mondo. Le tech companies americane hanno dovuto aprire gli occhi a una dura realtà, scrive in un commento Richard Waters del Financial Times: le restrizioni politiche di Pechino non ostacolano affatto lo sviluppo economico della Cina e il capitalismo di Internet con il brand America non è l’unico sistema possibile. Anche senza liberalismo e democrazia, l’economia va avanti.
Se oggi le aziende tecnologiche americane non possono pensare di mantenere il loro posizionamento globale senza essere forti anche in Cina, è chiaro che la trade war del presidente Donald Trump è tutta a loro sfavore. Il Ceo di Apple Tim Cook lo ha fatto capire nelle dichiarazioni di questa settimana che hanno accompagnato la presentazione di una trimestrale brillante in cui le vendite in crescita in Cina sono state un fattore determinante. Cook ha affermato che c’è una “inevitabile interdipendenza” tra Stati Uniti e Cina, uno scambio reciproco che serve a entrambi i partner e che esige che si arrivi a una soluzione ragionevole sui dazi.
Le tasse all’ingresso dei prodotti fabbricati in Cina imposti dall’amministrazione Trump escludono per ora iPhone e computer Mac ma potrebbero colpire l’Apple Watch e altri device di Cupertino, come altoparlanti e cuffie per la musica. Le dichiarazioni di Cook mettono in luce i timori del Ceo di Apple che Pechino reagisca con misure di rappresaglia: l’esacerbarsi dello scontro commerciale con la Cina fermerà la crescita delle vendite della Mela nel paese asiatico favorendo la concorrenza dei vendor locali, come Huawei e Xiaomi.
Molte aziende americane di settori industriali innovativi, come quelli basati sull’intelligenza artificiale, la robotica e le nuove forme di energia, hanno da temere dalla trade war Usa-Cina. Il produttore di auto elettriche Tesla potrebbe diventare un’altra vittima eccellente delle politiche aggressive di Trump: il Ceo Elon Musk ha ricordato questa settimana che la Cina è già “di gran lunga” il più grande mercato mondiale dell’auto elettrica (così come dell’auto in generale) e ha rappresentato l’anno scorso il 17% delel vendite totali di Tesla. Ma Pechino ha varato – in reazione alle sanzioni di Trump – un dazio del 40% sulle importazioni auto dagli Usa, dando un colpo alle ambizioni di Musk.
E’ solo un altro esempio di azienda ad alto contenuto tecnologico che non può permettersi di perdere quote di mercato in Cina, sottolinea il commento del Financial Times, proprio mentre sarebbe necessario crescere in Cina per generare quelle economie di scala che sono fondamentali per restare forti sul mercato globale.