Rischio critto-valute. Trend Micro, l’azienda giapponese di sicurezza informatica lancia l’allarme: le valute digitali crittate e prive di una banca centrale non sono solo un fenomeno pericoloso ma anche in rapida espansione. In particolare, dice Loïc Guézo (nella foto) security evangelist dell’azienda per l’area Europa del sud (Francia, Spagna e Portogallo, oltre all’Italia), dopo l’apparizione di Bitcoin, la valuta anonima creata da Satoshi Nakamoto, ne esistono altre ottanta, “Molte delle quali sono delle vere e proprie frodi”.
La storia delle valute digitali basate sulla crittografia è affascinante quasi quanto la loro perniciosità: i Bitcoin sono nati dallo studio di un gruppo anonimo e sconosciuto che ha scelto il nome di Satoshi Nakamoto. La prima transazione è avvenuta il 3 gennaio del 2009, per un importo di 50 Bitcoin. La valuta crittografica segue una tecnica di distribuzione opposta a quella della moneta tradizionale: tutti i Bitcoin in esistenza (attualmente sono circa 12,5 milioni di pezzi, possono arrivare a un massimo di 21 milioni) sono crittati e disponibili in pubblico per tutti nella cosiddetta Blockchain. Su ciascun Bitcoin è registrato il codice del proprietario, che rimane anonimo. Tutti così possono sapere a chi appartiene ogni singolo Bitcoin e questo garantisce la fiducia nelle transazioni senza bisogno di una autorità centrale.
Questo tuttavia è in teoria: “I Bitcoin infatti sono stati oggetto di truffe, fallimenti, furti: se da un punto di vista tecnico sono ben funzionali – dice Guézo – dal punto di vista economico e sociale si stanno dimostrando una vera e propria truffa, tanto che tutte le banche centrali del mondo hanno vivamente sconsigliato di utilizzarli”.
I lati oscuri della valuta digitale crittografica sono infatti legati all’uso e alle modalità di implementazione, più che non alla tecnologia sulla base della quale sono stati creati. Anzi, nel mondo degli hacker secondo Guézo vengono ritenuti ottimi perché l’idea tecnologica dietro alla loro creazione è valida. “Però siamo ancora ben lontani dal sapere chi li ha creati e perché”, aggiunge Guézo con riferimento all’articolo uscito poche settimane fa sulla nuova edizione cartacea di Newsweek, settimanale di attualità statunitense che è ritornato alla carta dopo alcuni anni in cui è stato presente solo in forma digitale a causa della crisi dell’editoria.
La storia di copertina per rilanciare il settimanale è stata proprio quella sui Bitcoin, con una inchiesta in cui una giornalista del settimanale sostiene di aver trovato l’ideatore dei Bitcoin, nella persona di un cittadino americano di origine giapponese che si chiama Satoshi Nakamoto, in pensione, che ha lavorato a lungo come ingegnere per il governo americano. L’inchiesta sottolinea anche gli aspetti privati della vita dell’uomo e della sua famiglia (separato, vive con la madre di 93 anni nella provincia americana) e sulla ricchezza che l’uomo conserverebbe in formato digitale con alcune centinaia di migliaia di Bitcoin ancora in suo possesso. Al di là della veridicità dell’inchiesta, il servizio ha creato allarme per quanto riguarda la privacy e soprattutto i rischi a cui la storia ha esposto Nakamoto, indicando che l’uomo in pratica nasconde un tesoro da centinaia di milioni di dollari nel PC di casa e fornendo in buona sostanza l’indirizzo a cui reperirlo.
Nakamoto in seguito ha smentito la veridicità delle affermazioni di Newsweek e il caso ancora appassiona la rete. È solo l’ultimo passaggio di una storia che in realtà è molto complessa.
“Non bastano – dice Guézo – le ombre e le tinte fosche dietro ai Bitcoin, che sono la moneta crittografata virtuale più conosciuta. In realtà in molti hanno visto l’opportunità di questo tipo di situazione e hanno creato valute alternative, digitali, alle volte vere e proprie truffe anche tecnologiche oppure sistemi per riciclare i soldi sporchi”.
Sono ottanta, secondo il conteggio effettuato da Trend Micro, e alcune in realtà non esistono neanche: non sono vere valute digitali ma solo specchietti per le allodole per rubare soldi.
Come probabilmente gli AfriCoins, il “diamante delle crittovalute, ma senza le mani sporche di sangue”, come recita la sua pubblicità in rete, che offre di avviare la distribuzione di questa valuta digitale tramite una offerta iniziale, un vero e proprio finanziamento. Come garanzia per il pagamento di soldi veri per avere in cambio bit crittati, gli organizzatori (anonimi, perché non è possibile risalire ai veri nomi) degli AfriCoins offrono uno scintillante orologio acciaio e oro dalla foggia simile a un Rolex ma con la marca “AfriCoins” che campeggia al centro del quadrante. Valore stimato: un migliaio di dollari. Valore probabile: dieci euro.
Accanto alle valute-truffa e ai tentativi di ricreare il successo economico dei Bitcoin, che hanno avuto nel tempo una impennata di valore contro le divise tradizionali dell’Euro, del dollaro e dello yen, come ad esempio i “Litecoin”, ci sono anche altre valute con scopo diversi.
La divisa digitale islandese è un tentativo di uno sconosciuto cittadino dell’isola atlantica a nome “Baldur Friggjar Óðinsson” (uno pseudonimo) di ripagare i 330mila concittadini dei problemi bancari degli anni passati: ogni abitante dell’Islanda è automaticamente titolare di 31,8 AuroraCoins, dal nome del caratteristico fenomeno delle aurore boreali islandesi. L’obiettivo è far crescere il valore della divisa digitale e quindi la ricchezza degli abitanti dell’Islanda.
Invece nel Nord e Sud Dakota le comunità della Nazione Lakota di nativi americani hanno creato i Mazacoin, la moneta indipendentista e già accusata di essere un veicolo di evasione fiscale, che sta suscitando attenzione anche nel nostro paese da parte degli esponenti dei movimenti autonomisti del nord.
“La conclusione – dice Guézo – è che i Bitcoin hanno effettivamente innovato molto come piattaforma finanziaria e attratto l’attenzione degli hacker, e anche di qualche venture capitalist che ha intuito la possibilità di una forte speculazione. Ma dal punto di vista economico e finanziario si stanno rivelando tossici”.