La guerra in Afghanistan, più di tutte le precedenti, è un
laboratorio hi-tech dove si prepara il futuro. Fra poche settimane
entra in linea Gorgon Stare, una dotazione di continuous monitoring
con le informazioni real time a tutta la catena decisionale e
operativa. Il cuore del sistema è in nove telecamere ad altissima
definizione sui velivoli unmanned MQ9Reaper, con una centralina di
elaborazione e trasmissione a tutta prova.
Se ne gioverà il soldato che non ha alcuna voglia di sapere che
cosa c’è dietro l’angolo; dall’alto glielo dirà Gorgon
Stare che, come la mitologica Gorgona paralizzava i nemici, così
questa nipotina hi-tech gelerà i talebani in agguato sul nostro
soldato.
Stanno già sperimentando un robot sparacchiante a terra. Messo in
sistema con la Gorgona consentirà al nostro titubante soldato,
accucciato dietro l’angolo, di rimanervi indisturbato finché il
robot non avrà bonificato l’area. Eppure una tale guerra appare
complessivamente più pericolosa di quelle viste sinora. Non per
caso la deterrenza nucleare ha come presupposto che tutte le parti
in causa siano mutuamente vulnerabili. D’accordo, ho detto tante
volte che non bisogna resistere al progresso e non posso smentirmi
ora se esso muta le condizioni della guerra. È un fatto però che
dissociando il rischio di ritorsione dall’impiego della forza si
sottrae questa a un salutare meccanismo di autolimitazione,
piuttosto incoraggiando a usarla in forma indiscriminata. È il
crollo d’ogni categoria clausewitziana.
Consoliamoci pensando che la nostra produzione di meccanismi di
autoconservazione non finirà con l’arrivo dei robot.