Donald Trump si incontrerà domani con i procuratori generali di otto Stati Usa per discutere del cosiddetto “scudo penale” che protegge i social media rispetto ai contenuti postati da terzi e permette loro di rimuovere post illeciti, come garantito dal Communications Decency Act. Dopo alcuni post non graditi su Twitter, lo scorso maggio il presidente americano ha firmato un ordine esecutivo che chiede al Congresso la modifica della Section 230 della legge che salvaguarda le piattaforme digitali.
“La censura online va ben oltre il tema della libertà di espressione e riguarda anche la protezione dei consumatori e la garanzia che questi ultimi siano informati sui loro diritti e gli strumenti legali per reagire”, ha affermato il portavoce della Casa Bianca Judd Deere. “I procuratori generali di Stato sono in prima linea su questo tema e il presidente Trump vuole ascoltare le loro opinioni”.
“Censura dei social oltre il limite”
Trump dovrebbe incontrare i procuratori generali di Texas, Arizona, Utah, Louisiana, Arkansas, Mississippi, South Carolina e Missouri, secondo quanto riportato dal Washington Post.
In particolare, i procuratori generali di Texas, Louisiana, Indiana e Missouri si sono da subito schierati dalla parte di Trump, sostenendo che i social media non possono essere veramente liberi “a meno che i partecipanti non capiscano le regole del dibattito sulle piattaforme e la concorrenza sia in grado di fornire alternative quando le limitazioni alla libera espressione superano il limite”.
Il Senato con Trump
L’assalto ai social media arriva anche dal Congresso: molti legislatori pensano che le decisioni delle Big tech sulla moderazione dei contenuti siano in realtà un tentativo di rimuovere i post di chi esprime posizioni vicine a Trump e al suo partito.
All’inizio del mese tre senatori Repubblicani hanno proposto una legge per modificare la Sezione 230 del Communications Decency Act. La proposta si intitola “Online Freedom and Viewpoint Diversity Act”: legge sulla libertà online e la diversità dei punti di vista.
Il ruolo della Fcc
Il presidente degli Stati Uniti ha anche incaricato il dipartimento del Commercio di presentare alla Federal communications commission (Fcc) una petizione con cui si chiede al regolatore di definire il raggio di azione della “Sezione 230” in modo da capire se va modificata o eliminata. Trump ha inoltre ordinato alla Fcc di raccogliere le accuse di censura o faziosità contro i social affinché siano esaminate.
La Fcc sta al momento conducendo una consultazione pubblica sul tema. Finora il regolatore ha evitato di assumere una posizione netta anche se il presidente Ajit Pai, fedelissimo di Trump, ha chiarito il dibattito è importante e che la Fcc passerà a un attento vaglio ogni richiesta di nuova legislazione da parte della Casa Bianca.
La protesta delle Internet companies
Alla mossa di Trump è seguito il ricorso del Center for democracy and technology (Cdt), gruppo con sede a Washington e finanziato da Facebook, Google e Twitter. La causa cerca di invalidare l’ordine esecutivo di maggio perché, secondo il Cdt, viola i diritti garantiti alle piattaforme social dal Primo emendamento della Costituzione americana, con la conseguenza di mettere il bavaglio alla libertà di espressione online.
Trump ha immediatamente risposto con un nuovo ordine esecutivo che chiede al tribunale di respingere la causa intentata dal Cdt.
Successivamente, la Internet association, che rappresenta le grandi aziende di Internet (tra cui Facebook, Google e Amazon), ha fatto appello alla Fcc chiedendo di respingere le manovre di Washington.
Nel suo ricorso l’associazione di settore afferma che la petizione presentata dall’amministrazione Trump ad agosto e che chiede nuove regole sui social “è basata su assunti non corretti, non ha riferimenti nella legislazione e suscita preoccupazioni di ordine politico”.
La Internet association ritiene che le nuove regole della Fcc potrebbero causare una perdita di protezioni legali nella rimozione di “frodi, truffe e contenuti pericolosi”.