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Turatto: “L’innovazione entrerà nella PA solo con l’ingaggio dei privati”

“Il mondo pubblico non è in grado di innovarsi da solo. La compartecipazione del mondo privato è indispensabile”. necessarie linee guida e accompagnamento operativo

Pubblicato il 23 Mar 2017

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“Per far fronte alle grandi sfide sociali di oggi servono soluzioni di tale complessità tecnologica che spesso non esistono sul mercato risposte pronte o stabili dal punto di vista commerciale. La soluzione è trovare forme di ingaggio del fornitore che lo spingano a portare innovazione all’interno della PA”, dice Renzo Turatto, docente presso l’Università di Perugia ed esperto di Public Procurement.

La regolazione degli appalti aiuta l’”ingaggio del fornitore” di cui lei parla?

Il codice degli appalti affronta una materia viva, legata a cose che cambiano. Ciò è tanto più vero quanto più si tratta di tecnologia e appalti innovativi. La novità è che mentre in passato i modelli di collaborazione pubblico-privato erano pensati soprattutto in termini di apporto finanziario, con l’innovazione occorre rendere il fornitore partner dell’operazione. Se infatti, una volta raggiunto il livello di soglia previsto dal contratto e chiusa la transazione, tutti i benefici dell’operazione restano in capo alla P.A., che interesse ha il fornitore a spingere sull’innovatività?

E come può trovare questo interesse?

L’innesto di innovazione oggi necessario non può venire se non c’è compartecipazione. Se come PA vado sul mercato e acquisto del lavoro, dei servizi, della consulenza, come faccio a essere sicuro che il fornitore mi dia la consulenza con quel grado di innovazione in più che davvero mi serve? Se l’acquisto riguarda cose pronte all’uso, il problema è relativo. Ma il punto è un altro. Non si può pensare che il mondo pubblico sia in grado di innovarsi da solo: è l’ingaggio del privato a portare forze nuove. Le nuove forme di procurement innovativo, ad esempio, prevedono la possibilità che la proprietà intellettuale rimanga in capo al fornitore.

Quali linee guida operative possono favorire l’innovazione nella PA?

Naturalmente si impone anche un discorso di regole e procedure. Si tratta di soldi pubblici ed è giusto che siano trattati con tutto il garbo che serve. Il passaggio è complesso. Per semplificarlo occorre attrezzare una serie di linee guida e politiche di accompagnamento di tipo operativo. Certamente il ruolo dell’ANAC in tal senso è importante ma, essendo principalmente volto a finalità di anticorruzione non è sufficiente. Come accompagnamento a questa fase di passaggio, si potrebbero lanciare delle sperimentazioni, delle operazioni pilota. La stessa Consip, come primo buyer della Pubblica Amministrazione italiana, ad esempio, potrebbe avere un ruolo trascinante e diventare leader in operazioni di questo tipo. Anche le amministrazioni centrali, le organizzazioni di categoria e la stessa Confindustria potrebbero attivarsi in tal senso. Sul fronte della Sanità, ad esempio, c’è una certa vivacità. La stessa Federsanità si è mostrata sensibile e attiva.

Non saranno tempi corti.

Anche se i tempi saranno lunghi, il passaggio è obbligato. Facendo un paragone tra la tecnologia presente nelle nostre case e quella presente negli uffici pubblici, rispetto agli anni ‘50 la situazione oggi è rovesciata: mentre all’epoca la tecnologia (macchine da scrivere, calcolatrici) si trovava in ufficio e non nelle case, oggi c’è molta più tecnologia nelle case che non negli uffici pubblici. È mai possibile una situazione di questo genere?

E cosa serve?

Serve un’inversione di rotta. Io penso che il nostro sia un sistema fatto di persone intelligenti, che pensano e hanno capacità di fare. La sfida è proprio questa: serve un ingaggio del privato che porti forze nuove dentro il mondo pubblico. Non si può pensare che il mondo pubblico sia in grado di innovarsi da solo. Del resto, altri Paesi hanno dimostrato che la politica del procurement lancia l’innovazione, finanche nello spazio. È quanto avviene in USA, dove la NASA utilizza una compagnia privata come Space X per inviare razzi sulla Stazione Spaziale Internazionale. I soggetti vincitori sono almeno due: da un lato Space X che ha messo a punto la tecnologia all’interno di un contratto di concessione pubblico-privato; dall’altro la NASA che fa procurement e, nello stesso tempo, porta ricerca e innovazione nel Paese. Su questo fronte in Italia siamo parecchio indietro, ma non c’è dubbio che è questa la grande sfida dei prossimi anni.

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