Gli Over the Top stanno scombinando le carte e portando disruption anche nel settore turistico. Colossi internazionali come AirBnb, che propongono affitti short-tem in case di privati, stanno suscitando timori e proteste da parte del settore alberghiero tradizionale, in un contesto in rapida trasformazione. La loro forza? Soprattutto la capacità di offrire esperienze. “Il digital tourism – spiega Carlo Alberto Carnevale Maffè, docente di Strategia alla School of Management dell’Università Bocconi di Milano – non è più solo e-commerce, i competitor del settore non si confrontano più soltanto sul prezzo. Siamo passati a una fase ulteriore: diventa importante proporre una customer experience personalizzata, una ‘storia’ da far vivere all’utente. E qui gli Ott possono risultare vincenti”. Tra critiche e applausi continua l’affermazione internazionale di AirBnb, servizio nato nel 2007 e diventato numero uno al mondo negli affitti a breve termine di stanze, appartamenti, dimore storiche e molto altro offerti da privati ad altri privati. L’annuncio è praticamente gratuito e il profitto della società grava sul viaggiatore per una quota pari al 10%. “Si colloca – spiega Maffè – nel fenomeno della sharing economy, l’economia della condivisione che è sostanzialmente un sistema di scambio di beni e servizi basato sulla disponibilità di una piattaforma Internet sia dal lato domanda sia dal lato offerta”.Attualmente AirBnb propone oltre un milione di sistemazioni disseminate in 192 paesi. L’Italia ha aderito con entusiasmo al fenomeno, collocandosi al terzo posto dopo Usa e Francia con oltre un milione di viaggiatori in poco più di cinque anni, più di 87mila alloggi disponibili e circa 12mila persone che ogni notte scelgono un alloggio “targato” Airbnb. A ottobre 2014 la società era valutata 10 miliardi di dollari grazie anche alla forza dei suoi numeri: se AirBnb vanta un milione di alloggi nel mondo, InterContinental Hotels Group, una delle principali compagnie alberghiere internazionali, a fine settembre contava 4.760 hotel sparsi per il globo, per un totale di 697.048 stanze. Il modello di business degli alberghi si sta incrinando sotto il peso di questo colosso della sharing economy?
C’è chi sostiene di sì e chi invece, come Maffè ritiene che “in realtà l’offerta di AirBnb si sovrapponga a quella della struttura alberghiera tradizionale perché, specialmente in Italia, gli alberghi disponibili sono in numero limitato, mentre abbondano seconde e terze case : l’86% del patrimonio reale degli italiani è investito in real estate”. Di certo l’avvento di AirBnb ha portato una rivoluzione nell’approccio alla clientela: non più marketing unilaterale tipico del turismo tradizionale, ma bilaterale. Si sceglie in base ai feedback degli utenti, ai quali la piattaforma chiede di esprimere un giudizio al termine del soggiorno. Avviene anche con TripAdvisor, piattaforma di recensione dei siti turistici, così come con Booking.com ed Expedia (prenotazioni). Ma nel tempo sono emerse difficoltà di autenticazione: l’anno scorso l’Antitrust ha aperto un’istruttoria su queste piattaforme per recensioni ingannevoli. “Invece in AirBnb – dice l’economista – la densità di giudizi per visita è più alta e la qualità dei feedback è migliore. Al posto delle stelle attribuite agli alberghi c’è il social rating. Perché si tratta di turismo esperienziale”. Per questo, a suo dire, offerte come quelle di AirBnb non sono opposte ma complementari al turismo classico. “Non interferiscono con il turismo business, né con quello Mice (Meetings, incentives, conferences and exhibitions), non minacciano ma semmai ampliano l’offerta, pur agendo naturalmente da calmiere dei prezzi”.
L’elemento disruptive introdotto dalla sharing economy nel turismo è dunque l’elemento umano: il viaggio a contatto con gente del posto, quello che un hotel non può dare. È partendo da questi presupposti che è nata Yonderbound, piattaforma che si definisce di “turismo sociale crowdsourced”. Creata nel 2013 dall’italiana (ma cosmopolita) Barbara Muckermann, già Chief marketing officer di Msc Crociere, permette sostanzialmente a tutti di fare l’agente di viaggio. Sulla piattaforma, ancora in versione beta, blogger di viaggi descrivono esperienze turistiche indicando alberghi, ristoranti o altri siti. L’utente fa la sua ricerca e, se decide di acquistare quel pacchetto, il blogger viene retribuito dai gestori del sito con il 70% delle revenue. Ma anche normali utenti possono improvvisarsi consulenti di viaggio. Yonderbound ha finora raccolto da vari angel investors 2 milioni di euro, ha stretto un accordo con Virtuoso, network di agenzie di viaggi di lusso, e conta di presentare ad agosto in un evento a Las Vegas la versione sviluppata e potenziata della piattaforma. Potrebbe diventare la sfida italiana a AirBnb.