La stampa americana avalla l’idea che ci sia un disegno preciso dietro le provocazioni che Elon Musk, il neo proprietario di Twitter, sta lanciando da qualche giorno a questa parte all’indirizzo di Apple, che comunque, se si esclude il fatto che ha tagliato gli investimenti pubblicitari sulla piattaforma, continua sostanzialmente a fare orecchie da mercante.
Secondo la ricostruzione di Cnbc, il piano potrebbe prevedere l’introduzione di un nuovo sistema di pagamento per accedere ai servizi di Twitter, il quale di fatto bypasserebbe quello di Apple, che prevede una fee del 30% su ogni transazione. A questo punto Cupertino sarebbe costretta a ritirare l’app dallo store per violazione delle condizioni d’uso, e Musk avrebbe agio di accusare la società di voler censurare la libertà d’espressione, bandiera della nuova gestione del social network. Ciò porterebbe all’inevitabile endorsement dei Repubblicani, che trascinerebbero Apple in un dibattito nazionale non solo sul tema del free speech, ma anche su quello del potere monopolistico espresso dall’App store.
Lo scenario delineato da DeSantis
La ricostruzione prende spunto da quanto ha dichiarato ieri Ron DeSantis, repubblicano governatore della Florida e tra i principali candidati per la corsa alla Casa Bianca insieme a Donald Trump. Durante una conferenza stampa DeSantis ha detto senza mezzi termini che se Apple escludesse Twitter dallo store si configurerebbe una situazione che il Congresso dovrebbe mettere sotto la lente di ingrandimento.
“Si legge un numero sempre maggiore di articoli che riportano indiscrezioni secondo le quali Apple starebbe minacciando di rimuovere Twitter dall’App Store perché Elon Musk sta effettivamente aprendo alla libertà di parola e sta ripristinando molti account che sono stati ingiustamente e illegittimamente sospesi per aver diffuso informazioni accurate sul Covid”, ha detto DeSantis. “Se Apple rispondesse eliminandoli dall’app store, penso che sarebbe un errore enorme, enorme, e sarebbe un esercizio davvero crudo di potere monopolistico”, ha continuato il governatore. J.D. Vance, senatore repubblicano dell’Ohio, ha inquadrato la situazione in modo simile in un tweet, dicendo che se Apple bannasse Twitter, “Questo sarebbe l’esercizio più crudo del potere monopolistico da un secolo a questa parte, e nessun paese civile dovrebbe permetterlo”.
Le provocazioni di Musk
In realtà a soffiare sul fuoco, al momento, è lo stesso Musk. Con una serie di tweet, il miliardario ha dichiarato che Apple aveva minacciato di rimuovere la app di Twitter dall’App Store in diretta conseguenza all’avvio del processo di moderazione dei contenuti sulla piattaforma social. Cupertino ovviamente sta osservando da vicino se l’azienda violerà le politiche dello store, ma per Musk la questione va oltre il rispetto delle policy, già costata a suo tempo a Epic Games il ban dal marketplace. “Apple ha anche minacciato di rimuovere Twitter dal suo App Store, ma non ci dirà perché”, ha twittato Musk, che ha continuato poi con una serie di meme che accusano Apple di ostacolare la libertà di parola e di richiedere commissioni troppo alte sulle app.
L’unica freccia all’arco di Musk sul piano della libertà d’espressione è il ritiro da parte di Apple di Parler (la piattaforma su cui si è trasferito Trump insieme a una nutrita schiera di sostenitori), estromessa dallo store nel gennaio 2021. Ma c’è da dire che, anche se il caso non aveva suscitato troppo scalpore tra l’opinione pubblica, l’app è stata ripristinata lo scorso aprile.
Twitter, ovviamente, è un social network molto più importante e conosciuto di Parler e un caso analogo generebbe una maggiore copertura mediatica. D’altra parte, Apple, tradizionalmente refrattaria a qualsiasi tipo di polemica, ha tutto l’interesse a mantenere Twitter sulla piattaforma. Ed è sulla base di questa attitudine che Cnbc ipotizza uno scenario diverso, meno conflittuale del primo: Cupertino rimarrà in silenzio, lavorando con Twitter dietro le quinte sulla sua app, e Musk continuerà a twittare sul taglio delle fee al 30% quando l’argomento lo infastidirà. Nulla, insomma, cambierebbe davvero. Ma Musk è imprevedibile, e se vuole davvero “andare in guerra“, come ha scritto in un post poi rimosso, Apple potrebbe trovarsi in una situazione difficile.
Per DeSantis Apple è “vassallo del Partito comunista cinese”
Basti pensare a come il magnate ha rincarato la dose nelle ultime 24 ore: “Questa è una battaglia per il futuro della civiltà. Se la libertà di parola viene persa anche in America, la tirannia è tutto quello che ci attende”, ha twittato Musk non accennando a voler diminuire i toni e ricevendo un altro assist da DeSantis che, intervistato da Fox News, ha definito Apple un “vassallo del Partito comunista cinese“.
Il governatore faceva riferimento alle proteste che in questi giorni stanno prendendo vita nelle metropoli cinesi contro la politica zero Covid del governo di Pechino. “Ci sono persone in Cina impegnate in un nobile sforzo di protesta contro quella che è sostanzialmente una dittatura leninista”, ha detto DeSantis. “E la risposta di Apple qual è? Stanno limitando la funzione AirDrop contro i manifestanti. Stanno servendo sostanzialmente da vassallo del Partito comunista cinese”.
Apple, ha affermato DeSantis, “è probabilmente l’azienda più potente al mondo, di certo una delle società più potenti nella storia degli Stati Uniti. Esercitano per certi versi un’autorità persino superiore a quella dei governi. E stanno usando la loro autorità per proteggere il Pcc, cercando allo stesso tempo di limitare la libertà di parola negli Stati Uniti”.