“Vicende come quella di Uber Files ci fanno dire che la mancanza di una regolamentazione del lobbying in Italia non è più tollerabile”: Federico Anghelé direttore di The Good Lobby accende i riflettori sulla necessità di accelerare per mettere fine a casi di “pressing” da parte di aziende su decisori pubblici e politici.
Bilanciare interessi di multinazionali e utenti
“Servono regole chiare che rendano trasparenti e monitorabili gli incontri con i decisori pubblici. E che garantiscano un bilanciamento del peso delle multinazionali: anche gli interessi generali – utenti, consumatori, attivisti per l’ambiente – devono essere ascoltati dai decisori pubblici. Per questo chiediamo che la legge sul lobbying sia considerata dal Parlamento una priorità e si voti al più presto”, evidenzia Anghelé.
Un organismo etico in sede Ue
L’associazione fondata da Alberto Alemanno rimarca inoltre l’urgenza della proposta di un organismo etico dell’Ue, come richiesto dal Parlamento e dal Consiglio dell’Ue nel 2021. “The Good Lobby ha contribuito alla progettazione di tale organismo etico dell’UE, presentando uno studio al Parlamento europeo”. (SCARICA QUI IL DOCUMENTO)
Il documento fornisce la prima analisi giuridica e politica dettagliata dell’organismo etico focalizzandosi anche su sistemi istituzionali di supervisione, attraverso un esame istituzione per istituzione.
L’analisi è volta a identificare la base giuridica, gli strumenti giuridici e le principali questioni legali sollevate da tale nuovo organismo indipendente dell’Ue. Dimostra che è giuridicamente fattibile ai sensi del diritto dell’UE istituire un tale organismo unendo insieme i poteri di monitoraggio, indagine, sanzione e consulenza esistenti. A differenza di tutti gli organismi etici dell’Ue esistenti, l’organismo di nuova istituzione sarebbe, in primo luogo, indipendente e, in secondo luogo, competente a garantire l’applicazione, attraverso indagini e sanzioni, dei comportamenti non etici commessi sia dai membri nominati/eletti che dal personale.
Inchiesta Uber Files, coinvolti politici e accademici
Sono 124mila i documenti dell’inchiesta Uber Files da cui emergerebbero pressioni su politici, istituzioni – e stando alle ultime novità anche nei confronti di studiosi e accademici – da parte di Uber in Europa e negli Stati Uniti nel biennio 2014-15, in cui erano in corso attività di regolamentazione per normare il servizio di trasporto nonostante l’opposizione, in particolare, delle associazioni di categoria dei tassisti.
L’inchiesta, condotta da un consorzio di giornali guidati dal britannico “Guardian”, non è al momento in grado di stabilire se le pratiche messe in atto da Uber costituiscano effettivamente dei reati e potranno determinare l’apertura di indagini penali.
A divulgare i documenti è stato Mark MacGann, ex responsabile delle politiche aziendali di Uber in Europa, che ha descritto le pratiche di lobbying dell’azienda su diversi dirigenti politici e non solo in molti Paesi. MacGann avrebbe inizialmente condiviso le informazioni con il “Guardian”, che a sua volta le ha inviate al Consorzio internazionale dei giornalisti investigativi (Icj), le cui testate hanno analizzato migliaia di mail e documenti riservati che descrivono le campagne di penetrazione aggressiva di Uber in vari mercati, spesso “in violazione della legge e delle regolamentazioni vigenti”.
Fra i politici di spicco citati nell’inchiesta spicca quello del presidente francese Emmanuel Macron che secondo quanto emerso “Uber files”, promise modifiche regolamentazioni per favorire l’ingresso dell’azienda nel mercato francese. Il cofondatore e amministratore delegato Travis Kalanick ha respinto gran parte delle accuse, mentre i vertici dell’azienda hanno ammesso che sotto la sua guida sono stati commessi degli errori. Nei giorni scorsi una portavoce di Uber, Jill Hazelbaker, ha dichiarato che “alcuni gravi errori commessi in passato hanno portato, cinque anni fa, ad una delle più gravi inchieste nella storia degli Stati Uniti, che ha portato all’allontanamento di numerosi rappresentanti ai vertici dell’azienda: non ci sono scuse per tali azioni, ma oggi chiediamo all’opinione pubblica di giudicarci sulla base di quello che abbiamo fatto negli ultimi cinque anni”.