SHARING ECONOMY

Uber vince la prima causa negli Usa: “Servizio legale nel Connecticut”

La startup vince in tribunale contro 15 società di taxi che la accusavano di concorrenza sleale. Secondo il giudice la società non può essere vincolata alle regole del dipartimento del Trasporto. Ma nel resto nel mondo continuano i guai giudiziari

Pubblicato il 14 Ago 2015

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Tra i tanti grattacapi legali a cui continua ad andare incontro Uber, la startup specializzata in servizi di sharing mobility che nell’ultimo giro di raccolta fondi ha raggiunto il valore record di 50 miliardi di dollari, arriva finalmente una buona notizia anche dai tribunali: il Gruppo ha vinto la causa intentatagli da 15 società di taxi e trasporto su limousine del Connecticut che, secondo il giudice distrettuale Alvin Thompson, non sono riuscite a dimostrare i vizi attribuiti al servizio fornito da Uber nello Stato del New England: concorrenza scorretta, rappresentazione ingannevole dell’offerta e addirittura strategie volte a sottrarre autisti alle loro flotte.

Il giudice ha inoltre rigettato la richiesta dei ricorrenti di vincolare Uber alla stessa licenza e alle regole di sicurezza a cui sono sottoposte le società, spiegando che in Connecticut il dibattito normativo sul corretto posizionamento dei servizi erogati dalla startup è appena stato avviato dal dipartimento di Stato dei Trasporti e che quindi non ci sono elementi per imporre specifiche condotte. D’altra parte Uber aveva argomentato durante il processo che non sussistevano i termini perché le leggi sul trasporto dello Stato potessero essere applicate a una tech company.

Se la difesa delle aziende che hanno intento la causa non hanno voluto commentare la sentenza rispetto alla quale, ha precisato il giudice Thompson, possono presentare ricorso, il portavoce di Uber Matthew Wing si è limitato a dire che la decisione permette agli autisti e ai passeggeri del Connecticut di continuare a ricevere i benefici sul piano economico e del trasporto garantiti dalla compagnia. Indirettamente, la sentenza favorisce anche Lyft, il concorrente diretto di Uber che – va precisato – si era unito alle 15 società che avevano avviato la causa per poi ritirarsi dal procedimento a febbraio.

Per una (temporanea) vittoria, però, Uber deve fronteggiare molte altre battaglie che potrebbero risolversi in sconfitte che andrebbero a sommarsi con i tanti stop ricevuti dal servizio in giro per il mondo. Solo negli Stati Uniti, dal Pacifico all’Atlantico, le cause contro la startup sono innumerevoli: una delle più pericolose, per l’appunto in California, è quella intenta da tre collaboratori di Uber che rivendicano l’assunzione da parte dell’azienda con tutto quel che ne consegue sul piano fiscale e dei benefit. Al di là della creazione di un pericoloso precedente, il rischio immediato che più spaventa i legali di Uber è che la causa si trasformi in una class action, aumentando la portata della sentenza alle decine di migliaia di autisti (sarebbero circa 160 mila in realtà) attualmente iscritti alla piattaforma sulla West Coast.

Sempre rimanendo in California, a metà luglio Uber è stato costretto a pagare una multa da 7,3 milioni di dollari per non aver risposto alla Public Utilities Commission, che aveva richiesto una serie di dati sul numero di clienti che ha richiesto un’auto con accesso per disabili, sugli incidenti in cui sono stati coinvolti gli autisti della piattaforma e sulla quantità e sul prezzo delle corse richieste e accettate dai conducenti. In Florida, a Tampa, tra proteste e sit in dei tassisti, il destino di Uber nella contea di Hillsborough è in mano al giudice Paul Huey, che tra qualche settimana stabilirà se come richiede la Public Transportation Commission locale, la startup dovrà essere paragonata a una compagnia di trasporto, con tutto quel che ne consegue sul fronte delle licenze, dei contratti e dei termini di servizio.

Dall’altra parte del mondo, in India, il servizio è temporaneamente sospeso per motivi completamente diversi: un conducente di Uber è stato accusato da una passeggera di aver abusato di lei, e in un Paese dove il tema della violenza sulle donne purtroppo è scottante, il Gruppo (che comunque continua a investire nella Regione) ha dovuto fare un passo indietro in attesa degli sviluppi in aula di tribunale.

In Europa è difficile dimenticare le scene da guerriglia urbana viste a Parigi e a Marsiglia, dove i tassisti francesi hanno protestato violentemente contro Uber. Le manifestazioni in strada sono solo lo specchio e il prologo di una battaglia che si infiammerà in tribunale a settembre, quando il general manager di Uber Europe Pierre-Dimitri Gore-Coty e l’amministratore delegato di Uber France, Thibaud Simphal dovranno rispondere di capi d’accusa ancora più pesanti di quelli registrati in America, tra cui il trattamento illecito di dati personali, complicità nella gestione di un servizio di taxi illegale e pratiche ingannevoli sul mercato.

Se in Italia le sorti di Uber sono ben note, dopo il blocco dell’app UberPop imposto a luglio dal tribunale di Milano, a cui è seguito qualche giorno fa l’abbandono del general manager Benedetta Arese Lucini, in Germania il servizio aveva avuto l’anno scorso il via libera per un vizio di forma: Taxi Deutschland, che aveva fatto causa a Uber, battendo sul tasto della mancanza della licenza degli autisti, non ha portato il caso in tribunale nei termini previsti dal regolamento. Peccato che a marzo sia arrivato l’ennesimo stop per UberPop nelle città in cui era attiva, ovvero Monaco di Baviera, Amburgo, Berlino, Francoforte e Düsseldorf. Per i giudici di Francoforte, infatti, il servizio non è conforme alle leggi tedesche in materia di trasporto. Ma la guerra è appena cominciata, visto che Uber ha presentato ricorso a Bruxelles contro le leggi di Francia e Germania.

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