Ai piani alti della Silicon Valley cresce l’inquietudine. Dietro il silenzio stampa d’ordinanza le lobby del settore preparano la contraerea. E anche la diplomazia di Washington è pronta a dare man forte. Vista d’Oltreoceano l’entrata in scena della Strategia per il Mercato unico digitale ha segnato un cambio di marcia nell’offensiva europea ai colossi Usa del web. Senza sorprese il pacchetto adombra un giro di vite ad ampio spettro su Ott e piattaforme digitali. Almeno a parole e sia pur all’insegna di un approccio prudente. Il che, annotano gli osservatori più acuti, alimenta diversi interrogativi sugli effettivi punti di caduta. La creazione “di un quadro regolatorio generale per le piattaforme essenziali” invocata da Germania e Francia a suon di dichiarazioni e missive congiunte alla Commissione appare tutt’altro che scontata.
Al pressing politico di Berlino e Parigi, sostenuto da una solida maggioranza tra gli scranni del Parlamento Ue, fa da contraltare la riluttanza di altri paesi, dal Regno Unito alle Repubbliche baltiche. Perfino in seno allo stesso collegio dei commissari il dossier raccoglie sensibilità variabili. Ecco perché Bruxelles ha voluto evitare temerarie fughe in avanti su un terreno scivoloso quanto inesplorato. Pur riconoscendo che il potere di mercato di alcune piattaforme (motori di ricerca, social media, app store) “genera preoccupazione”, la Strategia si accontenta per ora di avviare entro fine 2015 una disamina approfondita sul loro ruolo in ambiti che vanno dalla trasparenza dei risultati di ricerca alle politiche in materia di prezzi, passando per l’uso dei dati personali e la promozione dei propri servizi a scapito di altri.
Nel mirino non ci sono solo leviatani digitali del calibro di Google o Apple. L’indagine, precisa Bruxelles, passerà al setaccio anche il settore della sharing economy. Gli Uber e gli Airbnb sono avvisati. “In tutta evidenza – riassume il Financial Times – la Commissione non conosce abbastanza bene il dossier per poter decidere con sicurezza su una materia nella quale discernere e definire i comportamenti illeciti è molto complicato”. Ciò non significa che i servizi comunitari non abbiano già individuato possibili linee di intervento: ad esempio l’ipotesi di istituire un regolatore speciale per le piattaforme, secondo quanto è emerso di recente da un documento interno che d’altra parte tra gli scenari operativi contemplati riporta anche l’astensione totale da un qualsivoglia intervento regolamentare.
Discorso diverso per le Tlc, ambito nel quale la Strategia mette nero su bianco il proposito di traghettare Ott quali WhatsApp e Skype sotto lo stesso ombrello di regole cui sono soggette le telco con le quali duellano in maniera sempre più aggressiva sui servizi voce e sms. Per sanare un’asimmetria regolamentare che gli operatori, preoccupati per l’erosione dei ricavi dovuta proprio alla concorrenza “sleale” degli omologhi web, denunciano da diversi anni, la Commissione punta sull’aggiornamento del quadro normativo in materia di tlc programmato per il 2016. La chiave di volta è la modifica dell’articolo 2 della Direttiva quadro che definisce gli attori assoggettati.
Ma anche qui non mancano le incognite. La Strategia chiarisce che è non solo “necessario creare un contesto regolamentare giusto per tutti i servizi”, ma anche “decidere quale livello di regolamentazione è necessario”. In chiaro, la Commissione per realizzare un “level playing field” tra telco e rivali di Internet oscilla tra l’inasprimento degli obblighi sui secondi o la riduzione di quelli in capo alle prime. Opzione, quest’ultima, che fa la delizia degli operatori storici, tant’è vero che i toni anti-Ott degli anni scorsi sono stati quasi del tutto archiviati, e in privato si cominciano a tessere inedite alleanze per fare fronte comune in favore della deregulation per tutti.
Del resto, aziende di Tlc e Internet company sono pronte a salire sulla stessa barricata anche per fermare un altro provvedimento inserito nella strategia, e cioè l’introduzione del cosiddetto “duty of care” per gli intermediari online: in soldoni, si tratterebbe di rafforzare obblighi e responsabilità in capo a telco e piattaforme digitali nel monitoraggio e la rimozione di contenuti illegali o che violano il diritto d’autore.
Ancora: l’introduzione di una nuova normativa sull’e-commerce e la revisione della direttiva sui servizi audiovisivi minacciano di calare una raffica di vincoli regolamentari su un’ampia platea di Ott americani che va da eBay a Netflix. Ma la lista è ancora più lunga. E da più parti, incluse diverse capitali, si teme che a farne le spese sia il più minuto e meno attrezzato (legalmente ed economicamente) ecosistema digitale europeo. Il Digital Single Market “potrebbe creare una nuova Fortezza europea nel campo dell’economia digitale”, lamenta Dean Garfield dell’Information Technology Industry Council (Iti).