Dalla metà degli anni ’90 il mercato italiano dell’Ict ha
assistito alla crescita e al consolidamento di grandi operatori.
Complici la maggiore complessità dei progetti IT e il sempre più
frequente ricorso all’outsourcing, le Pmi sono state
progressivamente relegate al ruolo di subfornitrici. Ciononostante
sono riuscite a ritagliarsi uno spazio di manovra, contribuendo ad
una fetta consistente dei fatturati nazionali e all’effervescenza
del mercato di “fascia bassa”.
Ma la cronaca degli ultimi anni racconta anche il paradosso vissuto
dagli attori più piccoli dell’Ict nostrano: pur eccellendo
spesso da un punto di vista tecnologico, non sono mai riusciti a
consolidare competenze a livello sistemico e sviluppare un elevato
know how commerciale e manageriale, vedendosi così preclusa ogni
possibilità di recitare un ruolo da protagonisti sul mercato.
La crisi economica non ha fatto altro che arricchire di ulteriori
toni grigi un quadro tutt’altro che roseo, rendendo ancora più
incerte e problematiche le prospettive per una delle principali
componenti produttive del Paese. È evidente come il momento di
grande difficoltà vissuta dal mercato stia mettendo in discussione
la stessa possibilità di sopravvivenza della piccola e media
impresa mortificandone, nella maggior parte dei casi, la spinta
innovativa e i livelli occupazionali. Gli ormai cronici ritardi nei
pagamenti e i margini in caduta libera rendono sempre più
difficile trovare risorse da investire per la propria crescita.
Quali potrebbero essere, allora, le condizioni per favorire la
svolta? Un aiuto significativo, oltre che da maggiori contributi
per la ricerca, potrebbe essere rappresentato da una migliore
qualificazione della domanda, soprattutto pubblica. La PA, al
momento, sembra il segmento più adatto a offrire spazi per la
realizzazione di iniziative progettuali alla portata di attori di
piccole e medie dimensioni.
È da qui che potrebbe partire il “nuovo corso” fatto di
iniziative meno titaniche. Prevedendo delle corsie preferenziali,
le Pmi potrebbero affrancarsi dalla condizione di “spalle”
della grande impresa, giocando un ruolo di maggior
protagonismo.
Naturalmente tale proposta non vuole volgere nostalgicamente lo
sguardo ai finanziamenti a pioggia del passato… In un mercato che
riconosce la “dimensione” come valore e fattore premiante, una
più opportuna definizione della domanda contribuirebbe a ridurre
il particolarismo e il frazionamento dell’offerta tipiche di
questa componente produttiva. Stimolerebbe, inoltre,
l’aggregazione di imprese e la loro organizzazione in network,
favorendone la crescita ma preservandone agilità e dinamismo. E
gli effetti sarebbero positivi, non soltanto per le aziende.
Lo stesso mercato avrebbe modo di confrontarsi con realtà che per
natura e storia sono molto più competitive dal punto di vista dei
costi. Una forma di aggregazione commerciale di questo tipo,
inoltre, potrebbe rappresentare il primo passo verso processi di
fusione utili a capitalizzare strumenti finanziari e fiscali già
disponibili per il mondo della media impresa. Tale percorso
potrebbe essere favorito da un “advisor istituzionale”, nato
magari nel perimetro delle iniziative già adottate da alcuni
istituti di credito per far uscire le aziende dall’attuale
impasse. Questo, di fatto, aggregatore di imprese, aiuterebbe i
soggetti più piccoli a valutare l’efficacia e la percorribilità
di progetti di integrazione, seguendoli nei primi passi di un
cammino post fusione.