FREQUENZE

Un patto del Nazareno sui 700 MHz?

Senza voler pensare ad accordi sottobanco, è un po’ strano che maggioranza e parte dell’opposizione votino insieme nelle commissioni parlamentari con un’armonia di intenti sconosciuta nel nostro mondo politico. In passato la questione sull’uso delle frequenze
avrebbe portato a vivaci discussioni. Oggi non è più così. La rubrica di Nicola D’Angelo

Pubblicato il 08 Apr 2016

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Ma sarà vero? Possibile che esista un patto, detto del Nazareno, tra Renzi e Berlusconi sulla tutela di alcuni interessi di quest’ultimo? L’Italia è il solito paese di dietrologi, perché credere a sciocchezze del genere? Una volta tanto stiamo ai fatti. Tralasciando per il momento l’oscura vicenda Telecom e il possibile ingresso di Mediaset nella nuova casa di Bollorè, nelle ultime settimane il nostro Parlamento è stato chiamato a dare un parere sulla proposta di decisione europea relativa all’uso della banda di frequenza 470-790 MHz. Si tratta tanto per capirci del campo petrolifero dei televisivi. Attualmente la banda è utilizzata per la televisione digitale terrestre (DTT). L’Europa però chiede di far passare gran parte di questa risorsa al servizio della banda larga mobile. Le stime sono impressionanti: entro il 2020 il traffico internet aumenterà di otto volte rispetto a quello attuale imponendo la necessità di far fronte alla domanda crescente di spettro per la banda larga mobile con interventi che garantiscano lo sviluppo di servizi innovativi.

Sulla base di accordi conclusi a livello internazionale e delle risultanze di appositi studi ed approfondimenti svolti dalla Commissione europea, è dunque emerso un orientamento volto a destinare entro il 2020 alla banda larga mobile la banda di frequenza dei 700 MHz, lasciando prioritariamente a disposizione dei servizi audiovisivi l’utilizzo della banda al di sotto dei 700 MHz. Fin qui l’Europa. E noi? Iniziano i distinguo dei nostri politici. Si parte dal principio di diversità genetica: tener conto delle differenze nazionali. Si passa poi a sottolineare che non si è vincolati all’obbligo di rispettare la scadenza 2020 nelle zone geografiche in cui la questione del coordinamento delle frequenze con i paesi terzi è ancora irrisolta (praticamente tutta l’Italia). Si finisce con il ribadire che bisogna comunque garantire l’uso di questa banda, o di parti di essa, anche per la fornitura di servizi di media audiovisivi.

Quello che succede comunque non si capisce bene se non si vede ciò che fanno gli altri paesi europei (es. Francia, Germania, UK) dove addirittura è in atto un’anticipazione del passaggio della banda 700 ai collegamenti mobili rispetto alla scadenza del 2020. Perché invece in Italia non succede? Perché ancora una volta il tema delle frequenze è un tabù così difficile da superare? Certo, senza voler pensare ad accordi sottobanco, è un po’ strano che maggioranza e parte dell’opposizione votino insieme nelle commissioni parlamentari con un’armonia di intenti sconosciuta nel nostro mondo politico.

In passato la questione, cioè quella sull’uso delle frequenze, avrebbe portato a vivaci discussioni. Oggi non è più così. Non ci resta che assistere all’ennesima presa d’atto dell’esistente e forse al trasferimento da parte di qualcuno di un enorme patrimonio frequenziale nella pancia di una prossima media company. Ma questa, appunto, è dietrologia. Un fatto è invece certo. La banda larga non passa solo per lo sviluppo delle infrastrutture fisse. Bisogna che qualcuno lo ricordi ogni tanto.

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