In principio fu l’Italia, con la proposta del Commissario Agcom Antonio Nicita. L’idea di fondere Agcom e Garante Privacy per dare vita ad un’Autorità per il Digitale risale già a molti mesi fa e nel nostro Paese ha scatenato un fervente dibattito. Dibattito che poi ha visto protagonisti altri Paesi, in pole position Uk e Giappone. E ora tocca agli Stati Uniti.
Occorre una speciale “Digital authority” per regolare i colossi digitali come Google e Facebook: questa la proposta messa nero su bianco in uno studio condotto dall’Università di Chicago che ricalca indicazioni già arrivate dal governo britannico e dalla Commissione europea: le piattaforme Internet dominanti esigono nuovi approcci alle politiche antitrust.
La proposta dello Stigler Center for the Study of the economy and the state della University of Chicago nasce da una ricerca durata due anni e suggerisce una riconfigurazione delle norme sulla concorrenza per tenere conto delle nuove realtà e problematiche dell’economia digitale. Lo studio si è avvalso anche di contributi e dati dello studio Furman condotto in Uk e dello studio sulle piattaforme digitali dell’Ue pubblicato a inizio anno.
L’Università di Chicago propone per gli Stati Uniti una serie di modifiche alle attuali norme antitrust. In particolare, caldeggia l’istituzione di un regolatore specifico per le piattaforme digitali che dovrebbe applicare regole differenti per le aziende con potere di mercato tale da impedire l’ingresso di società concorrenti (“bottleneck power”), perché di fatto è come se per i consumatori esistesse un solo provider. Questa Digital authority avrebbe poteri quale la sorveglianza sull’interoperabilità delle tecnologie, sulle norme di non-discriminazione e sui merger nel settore digitale. In particolare, le fusioni tra aziende dominanti e potenziali concorrenti dovrebbero essere passibili di bocciatura.
L’autorità digitale potrebbe anche aiutare sul fronte dei “rimedi” antitrust, seguendo le aziende che hanno ottenuto un ok a un’acquisizione e sono chiamate a mettere rapidamente in pratica le correzioni imposte dall’antitrust per il via libera all’M&A.
“L’assenza di vigilanza ha costi più alti di quanto avessimo previsto in passato”, ha dichiarato Fiona Scott Morton, insegnante di economia della Yale che ha guidato il panel della Stigler che ha redatto lo studio americano.
Ariel Ezrachi della University of Oxford, che pure ha contribuito allo studio della Stigler, sottolinea che la crescente concentrazione nelle industrie digitali ha poggiato sulla convinzione che i mercati saranno sempre capaci di auto-correggersi. Ora, tuttavia, tale assunto non è più corretto e le modifiche regolatorie dovrebbero essere le benvenute anche per le imprese, perché creano un quadro normativo certo e uniforme rispetto all’attuale approccio “caso per caso” delle autorità antitrust. “È la naturale evoluzione, non agire non è più un’opzione possibile”.
Il governo britannico ha commissionato uno studio sulle piattaforme digitali e le questioni antitrust realizzato dal Digital competition expert panel e pubblicato a marzo. Il panel di esperti è stato diretto dall’ex consulente economico della Casa Bianca Jason Furman e ha concluso che il Regno Unito ha bisogno di regole più stringenti sulla digital economy, inclusa la creazione di un ufficio governativo ad hoc (digital markets unit) per stabilire un codice di condotta e standard per la portabilità e valutare più attentamente le operazioni di M&A.
Ad aprile sono arrivate anche nuove indicazioni dall’antitrust europeo guidato da Margarethe Vestager che, ancora una volta, pone l’accento sulla necessità di regole aggiornate per tenere conto dei nuovi colossi del digitale con forte potere di mercato.