IL CASO

Usa pronti alla stretta su Facebook & co: “Responsabili dei contenuti come gli editori”

Nata per proteggere le aziende nella fase di startup, la norma che garantisce l’immunità penale – secondo il procuratore generale William Barr – potrebbe non avere più senso oggi che le aziende sono diventate dei colossi tecnologici

Pubblicato il 20 Feb 2020

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Le aziende hitech come Google e Facebook non possono più sfuggire dalle responsabilità sui contenuti postati nelle loro piattaforme online. Lo ha detto il procuratore generale degli Stati Uniti William Barr (lo stesso che ha proposto l’acquisto di quote di Nokia ed  Ericsson da parte del governo americano), che ha aperto un dibattito sulla Section 230, comma della legge Communications decency act, che garantisce l’immunità penale alle tech companies. In pratica, non si può far loro causa per violazioni della legge legate a testi, immagini e video postati sui loro siti da terze parti. La legge protegge le piattaforme online distinguendole dagli altri media, che possono essere ritenuti responsabili per aver pubblicato contenuti falsi o dannosi.

Secondo Barr la norma, nata per proteggere le aziende nella fase di startup, potrebbe non avere più senso oggi che i gruppi tecnologici sono dei colossi per dimensioni, presenza globale, quantità di dati raccolti e di contenuti ospitati, spesso selezionati e promossi dalle stesse aziende tramite algoritmi.

I “titani dell’industria americana”

Il dibattito si è tenuto durante un convegno organizzato dal dipartimento di Giustizia e incentrato proprio sull’importanza e valore della Section 230 nel proteggere le piattaforme online. Il Justice department (DoJ) sta già esaminando il ruolo dei colossi del digitale dal punto di vista delle norme antitrust. Insieme a questa valutazione, l’agenzia federale intende ora studiare le implicazioni di un mercato hitech concentrato nelle mani di pochi big dal punto di vista dell’immunità legale di cui godono.

La norma sull’immunità è stata fondamentale per aziende come Facebook e Google (YouTube), perché ha permesso loro di crescere senza essere sommerse da cause legali e mantenendo lo status di una “community”, non di un editore. Le aziende hitech continuano ovviamente a sostenere che la Section 230 è essenziale per il loro lavoro, specialmente perché permette un’attività di moderazione dei contenuti affidata alla “buona fede”.

Il procuratore generale Barr ha tuttavia detto al convegno che l’industria del digitale non è più un fragile settore emergente da proteggere. “Non sono più delle startup che sfidano le aziende consolidate. Sono i titani dell’industria americana”, ha affermato Barr. Con il livello di potere che hanno nelle loro mani, “è legittimo chiedersi se l’ampia immunità garantita dalla Section 230 sia ancora necessaria”.

Le piattaforme digitali sono come degli editori

La riflessione sulla norma è parte di un “approccio olistico”, ha spiegato ancora Barr, che il dipartimento di Giustizia sta adottando nei confronti dell’industria dell’hitech e in cui rientrano le indagini della divisione Antitrust. I dubbi sulla Section 230 sono scaturiti proprio dalla vasta revisione delle maggiori piattaforme online condotta dal DoJ da cui è emerso che “non tutti i problemi sollevati da queste piattaforme ricadono nelle questioni antitrust”.

I due temi sono però legati. I big del digitale controllano il mercato, accentrano gran parte della “conversazione” online e portano al pubblico contenuti di ogni genere selezionati tramite algoritmi di intelligenza artificiale e ciò lascia ritenere che l’immunità legale non possa più applicarsi.

“Con questi nuovi strumenti si è persa la distinzione tra la mera funzione di ospitare passivamente contenuti di terzi e quella di attivamente selezionare, organizzare e promuovere contenuti e messaggi”, ha detto Barr. Insomma, il dubbio è che le piattaforme online si siano a tutti gli effetti trasformate in editori e testate giornalistiche. E devono essere responsabili di quello che pubblicano.

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