L'INTERVISTA

Vaccarono: “Il digitale non è un optional, ma le pmi italiane devono ancora capirlo”

Il managing director di Google Italy: “Molta strada è stata recuperata ma non basta. È necessario spingere l’adozione degli strumenti innovativi: ne va della competitività e dello sviluppo dell’intero Paese”

Pubblicato il 16 Mag 2019

vaccarono

Digitalizzare l’Italia è la più grande opportunità che abbiamo. Non ce ne sono altre in grado di generare potenzialmente altrettanto valore in termini di competitività e sviluppo, Fabio Vaccarono, managing director di Google Italia fa il punto con Corcom sulle sfide che il nostro Paese deve ancora cogliere, sugli strumenti in campo per far sì che si salga una volta per tutte sul treno del digitale e sul ruolo che decisori politici e stakeholder, ma anche associazioni di categoria e grandi imprese devono svolgere per lo sviluppo di quell’ecosistema indispensabile per la crescita. “Il digitale non è un optional – sottolinea Vaccarono -. E l’Italia si merita questa opportunità di crescita”.

Vaccarono, dunque l’Italia è ancora all’abc digitale?

L’Italia ha fatto tantissimi progressi ma il paragone con le più importanti economie europee, quelle con cui ci confrontiamo, ci vede ancora molto indietro. Il ritardo strutturale era significativo fino a pochi anni fa e la rivoluzione digitale ha attecchito prima in quei Paesi in cui la prima rivoluzione Ict aveva fatto sentire forte i suoi effetti. E non era questo il caso dell’Italia. Certo non siamo più in pessime condizioni, ma nel frattempo gli altri Paesi sono andati ancora più avanti. La Spagna, ad esempio ha fatto molto di più e molto meglio di noi.

La questione culturale viene indicata dai più come la principale da affrontare nel nostro Paese. Cosa ne pensa?

Il senso della rivoluzione digitale è abilitare possibilità. Vale per gli utenti-consumatori che possono semplificare la propria vita con strumenti innovativi, e per tutte quelle aziende, tante e prevalentemente piccole che rappresentano la spina dorsale dell’ecosistema produttivo italiano. Il mondo sta diventando sempre più connesso. E con miliardi di persone collegate alla rete e un’ulteriore crescita a venire, tutto cambia in termini di competenze professionali, sempre più trasversali, ma anche di obiettivi di business.

Partiamo dalle potenzialità del business.

In Italia ci sono 4 milioni di aziende, una potenza produttiva incredibile. E la questione dimensionale – troppe piccole e medie imprese – non solo non è più importante ma può addirittura trasformarsi in un vantaggio. Oggi qualsiasi prodotto è a un click di distanza dal mercato, il mercato globale mentre ieri era a una distanza fisica per molti siderale al punto da non poter essere presa neanche in considerazione. Se da un lato quello italiano è un sistema produttivo piatto e piccolo dal punto della dimensione media, dall’altro la questione dimensionale ha perso il suon peso il un contesto senza barriere. È evidente dunque che la luna è a due facce: da un lato si ampliano le opportunità e dall’altro le minacce, quelle rappresentate da nuovi competitor, anch’essi a distanza di un click. Ma l’internazionalizzazione attraverso il digitale è la chiave di volta. È questo il pilastro numero uno dell’accordo che Google Italia ha siglato con Confindustria per aiutare in particolare le pmi a darsi nuove opportunità. Dopodiché bisogna agire sulla creazione di competenze digitali affinché sia possibile gestire la transizione di tutta l’economia, sulla presenza online delle aziende – non siamo ancora in linea con i principali Paesi – e last but not least fare proprie sin da ora i nuovi strumenti chiave per la trasformazione digitale: intelligenza artificiale e machine learning.

E come la mettiamo con le competenze?

Intanto bisogna chiarire bene la questione delle skill. Il punto non è seguire l’ultima “ondata” in tema di specializzazioni – meglio il data scientist o il software engineer – ma impadronirsi degli strumenti di base imprescindibili per qualsiasi professione. Secondo dati della Commissione europea l’85% dei mestieri che vengono svolti in Europa necessita di competenze digitali rilevanti. E riguardo specificamente alla situazione italiana uno studio di Unioncamere di qualche tempo fa evidenziava che oltre il 20% delle pmi non riesce a trovare profili adeguati per intraprendere il cammino digitale. Insomma siamo nell’epoca dei paradossi: alti tassi di disoccupazione da un lato, alto tasso di domanda di figure del “digitale” dall’altro. Il problema vero però è che sul fronte dell’ecosistema produttivo non tutti hanno realizzato l’urgenza che la trasformazione digitale richiede a prescindere dal settore in cui si opera.

Come si può far capire alle aziende che è indispensabile passare all’azione?

Intanto bisogna prima portare questa considerazione a livello di decisori. E non è banale. In Italia non aiuta il fatto che abbiamo tante Pmi ma pochissimi campioni nazionali a fare da traino. La filiera segue sempre quando l’input parte dall’alto. I campioni per loro natura sono i primi a cogliere la portata degli strumenti digitali, ed è inevitabile che un capofila finisce per influenzare fornitori e partner e a catena tutta la filiera di riferimento. Ma se i campioni aiutano non sono l’unica via. Piccolo o grande poco importa se ci si mette al polso un cronometro che segna la ferrea volontà di recuperare. E in questo la politica può fare da propulsore. Così come il mondo del pubblico e la classe dirigente del paese. Se ci si mettesse allo stesso tavolo si potrebbe creare quell’ effetto sinergico per spingere tutti nella stessa direzione.

Google Italia ha avviato una serie di iniziative sul fronte della formazione dei giovani e anche delle pmi. Che risultati si sono ottenuti?

Riguardo all’iniziativa Crescere in Digitale, il programma rivolto ai giovani in cerca di occupazione abbiamo formato ad oggi circa 100mila persone, un numero importante considerando che sono 500mila gli iscritti al fondo garanzia giovani. Si può dire che il successo è stato importante in termini numerici ma soprattutto di potenzialità di employability dei giovani. Sul fronte di Eccellenze in Digitale, il programma per le Pmi siamo soddisfatti solo in parte: anche in questo caso abbiamo formato circa 100mila risorse ma la sfida è spingere la trasformazione digitale in un numero sempre più elevato di aziende. Ed è proprio su questo fronte che stiamo lavorando. Non posso darle anticipazioni ma presto lanceremo nuove iniziative che puntano ad aiutare le aziende ad ampliare la loro comprensione sul digitale. E a farne una leva di business.

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