Se fosse stata necessaria, una conferma della gracilità del venture capital italiano arriva dal Report 2016 di Assobiotec-Federchimica sulle imprese di biotecnologie in Italia. Un settore in costante crescita, dove negli ultimi tre anni alcune startup hanno generato valore per oltre 5 miliardi di euro. Eppure tra le fonti di finanziamento venture capital e private equity contano appena per il 4%. Nonostante a livello mondiale gli investimenti nel settore biotech nel 2015 abbiano fatto boom con una crescita del 34%.
Siamo all’anno zero. Conviene pensare che la storia italiana del venture capital cominci adesso. Con la nascita di fondi dedicati al biotech, ad esempio. Con la dissolvenza di Atlante-Intesa Sanpaolo in Quadrivio in un nuovo fondo da 120 milioni di euro. Con lo sviluppo del network di coinvestimento che sta crescendo attorno all’operatore pubblico Invitalia Ventures. Anche il pubblico può e deve fare la sua parte, con buona pace degli antistatalisti per vocazione. Quel che conta sono le risorse che si riescono ad attivare. In Francia il fondo di venture capital pubblico ha partecipato a un coinvestimento da 18 milioni (sul portale turistico Evaneos). In Italia quando operazioni simili si fermano a 3 milioni. Abbiamo ancora 6 livelli di crescita da recuperare.