L'EDITORIALE

Video on demand, qualcosa non torna. O forse sì?

1,7 milioni gli italiani che si sarebbero già convertiti. Come vengono contati gli utenti? Valgono anche le registrazioni gratuite? O un utente è chi paga? La mala-conta delle copie digitali e delle sim ha già fatto scuola. Speriamo non sia questo il caso

Pubblicato il 13 Feb 2017

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Un milione e 700mila di italiani si sarebbero convertiti al video on demand. E stando alle stime di qui a un paio d’anni i numeri dovrebbero triplicare. Ora, detto che il fenomeno sta esplodendo sull’onda di Netflix come già avvenuto in altri Paesi siamo sicuri che in Italia siamo già alla soglia dei due milioni di clienti? Consentiteci qualche dubbio in merito.

Come vengono calcolati gli utenti del video on demand? Perché se il principio è il medesimo alla base di certa conta delle copie digitali dei giornali –l’utente si “moltiplica” sulla base dei dispositivi – allora non ci siamo. Anche ammettendo che non sia così, un’altra curiosità meriterebbe di ottenere risposta: un utente-cliente è anche colui che ha scaricato un solo contenuto? Quand’è che un cliente viene considerato tale? Anche quando si è iscritto alla piattaforma nella fase promozionale, quella gratuita? Non è che la conta si sta facendo come si fece in passato quella delle sim e poi scoppiò il caso “sim dormienti” e i conti non tornavano? Non che si voglia necessariamente sorprendersi di fronte ai numeri più che positivi del video on demand tricolore, ma considerata anche la scarsa quantità di contenuti disponibili, sembrano davvero numeri abnormi.

Secondo alcune stime Chili da sola conterebbe 650mila utenti registrati, Netflix meno di 400mila e TimVision altrettanti Certo, ora anche altre telco e altre piattaforme si stanno buttando nella mischia ma, parliamoci chiaro, il palinsesto al momento lascia davvero parecchio a desiderare per giustificare il successo improvviso del Vod. Ma magari, per una volta, i conti tornano.

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