Oggi l’amministratore delegato di Vivendi, Arnaud de Puyfontaine, interverrà alle commissioni Lavori pubblici e Industria del Senato per un’audizione “informale”. Sarà la prima volta del manager francese davanti ad un’istituzione parlamentare italiana.
L’attesa su quanto dirà è molta. Anche perché, dopo l’assemblea di Telecom Italia dello scorso 16 dicembre, de Puyfontaine porta due cappelli: da un lato è il ceo di Vivendi, principale azionista di Telecom Italia, oggi col 21,39% del capitale dopo l’ulteriore crescita frazionale messa a segno negli ultimi giorni. Dall’altro, de Puyfontaine è membro del consiglio di amministrazione della società telefonica italiana, in seguito all’integrazione del cda con quattro nuovi rappresentanti del gruppo francese (tra cui tre maggiori top manager di Vivendi, de Puyfontaine incluso).
È chiaro che le cose che si dicono in pubblico possono essere a volte diverse da quelle che si discutono in privato, se non altro per ragioni tattiche e di riservatezza: le strategie e le scelte di un’azienda hanno modalità e tempi di comunicazione che possono non coincidere con le esigenze della politica o della trasparenza assoluta.
Tuttavia, in particolare dopo la decisione di entrare nel cda di Telecom Italia con una force de frappe non indifferente (per numero e qualità dei consiglieri presenti), da Vivendi ci si aspetta domani una chiarezza maggiore di quella mostrata ai tempi in cui, pur con una quota importante di Telecom Italia in portafoglio, il gruppo francese si comportava da azionista “in somno”, lasciando totale libertà di iniziativa ad un cda e a un management che si muovevano come se Telecom fosse, dopo anni di azionisti “di riferimento”, una vera public company. Un interregno avviato dopo l’uscita di scena di Telefonica, ma destinato a durare lo spazio di appena qualche mese.
Acquisto dopo acquisto, Vivendi è passata dall’8,24% ottenuto da Telefonica grazie uno scambio di figurine fra le reciproche attività brasiliane, sino al quasi il 22% attuale. Con un investimento superiore ai tre miliardi di euro, a conferma di un interesse non certo di mera speculazione borsistica.
Opponendosi alla trasformazione delle azioni di risparmio in ordinarie (ufficialmente non per ragioni di principio né per la contrarietà a farsi diluire, ma per motivi di fairness opinion sul prezzo del concambio), Vivendi ha approfittato dell’assemblea dello scorso 15 dicembre per piazzare i quattro suoi uomini nel cda. Che non ve ne fossero era comunque un’anomalia, vista la quota di capitale detenuta dai francesi, anche se più di qualche fondo non ha gradito un ingresso così “pesante” come quello deciso da Vivendi.
È evidente che lo scenario dal 15 dicembre è cambiato, tanto più che gli acquisti del gruppo francese su Telecom Italia continuano. E potrebbero anche continuare in futuro.
A cosa mira una partecipazione così massiccia e crescente? Una domanda che ci piacerebbe fare a de Puyfontaine. Tanto più che negli altri Paesi il gruppo ha abbandonato le sue partecipazioni nelle tlc. Come vede il futuro di Telecom Italia, a partire dagli investimenti nell’ultrabroadband? Lo convincono le strategie del management per cui più che produttore o “possessore” di contenuti Telecom Italia dovrà essere una “casa delle teconologie”, trasformandosi “da puro operatore telefonico a player industriale e tecnologico in grado di offrire prodotti e servizi innovativi mediante lo sviluppo di piattaforme abilitanti” come hanno detto il presidente Giuseppe Recchi e l’amministratore delegato Marco Patuano in occasione della presentazione del nuovo marchio Tim?
Oppure si pensa ad un’integrazione più stretta fra Telecom e la distribuzione dei contenuti di proprietà di Vivendi? Magari per farli correre su un’autostrada digitale privilegiata?
E cosa pensa della gestione di Telecom. È ancora “una nave senza guida”? Vivendi ha in mente un ribaltone nella plancia di comando di Telecom, magari approfittando dell’occasione della prossima assemblea di primavera? E che idee si è fatto del prossimo piano industriale che verrà discusso a giorni? E della nuova strategia di Telecom di cercare una pax regolatoria con Authorities e concorrenti, anche attraverso una profonda riorganizzazione delle proprie attività wholesale?
E il Brasile, è convinto che sia una partecipazione strategica di Telecom da fare crescere in un’ottica di lungo periodo, anche investendovi risorse e sforzi, e non solo perché il real debole impedisce valorizzazioni in tempi brevi?
E quale sarà il ruolo immaginato per Telecom nell’ambito dell’aggregazione dei mercati delle telecomunicazioni europee che per ora avviene a livello nazionale ma potrebbe presto interessare anche alleanze ed integrazioni sovranazionali?
Sono tutte tematiche su cui l’opinione del primo azionista francese non è ancora stata chiarita. Non basta più quanto detto da de Puyfontaine all’ultima assemblea di Telecom secondo cui Vivendi è un “investitore industriale”, presente in Telecom per “creare valore”. Ancora troppo generico. Il compito di un azionista di riferimento è anche la chiarezza strategica ed industriale nei confronti di tutti gli stakeholder. Soprattutto quando si parla di una realtà del valore di Telecom Italia che non è solo finanziaria né meramente industriale. Non è dello Stato, ma è certamente un’azienda-Paese.