La web tax è legge. La norma promossa dal presidente della Commissione Bilancio della Camera, Francesco Boccia (Pd), è passata quando oggi il Senato, alle ore 18.15, ha dato la fiducia al governo sulla 1120/B, ovvero la legge di stabilità che contiene appunto anche la web tax. La fiducia è stata votata con 167 voti favorevoli e 110 contrari su un totale di 277 votanti.
La nuova normativa prevede la necessità di acquistare servizi di pubblicità, link sponsorizzati online e spazi pubblicitari visualizzabili sul territorio italiano solo da soggetti titolari di partita Iva italiana. Inoltre, alle aziende che fanno raccolta pubblicitaria sul web, prescrive un diverso indicatore dei profitti rispetto a quello attuale che fa riferimento ai costi sostenuti per l’attività.
La norma – di fatto un emendamento alla legge di stabilità che raccoglie i contenuti della proposta di legge presentata lo scorso ottobre da Boccia – comportava inizialmente una serie di interventi normativi ai fini Iva e delle imposte dirette per tassare in Italia i proventi derivanti dal commercio elettronico diretto e indiretto, ma ha subito suscitato critiche anche all’interno dello stesso Pd. Di fatto l’emendamento, accantonato in Commissione Bilancio del Senato, è stato ripresentato agli inizi di dicembre alla Camera con la firma di firma di Edoardo Fanucci (Pd) , Sergio Boccadutri (Sel), Ernesto Carbone (Pd), Antonio Castricone (Pd) e Stefania Covello (Pd). La scorsa settimana la commissione Bilancio della Camera ha riscritto l’emendamento in una versione sostanzialmente “dimezzata” che è quella approvata oggi in via definitiva: dal testo è scomparso l’obbligo di aprire partita Iva in Italia per tutti i soggetti che effettuano il servizio di commercio elettronico diretto o indiretto, mentre è rimasto in piedi l’obbligo di partita Iva italiana per chi vende pubblicità online in Italia.
Tra i principali sostenitori del “no” alla web tax il neo segretario del Pd, Matteo Renzi, che ha più volte dichiarato la sua contrarietà e, alla vigilia dell’ultimo intervento sul testo della Commissione Bilancio della Camera, ha chiesto con un tweet al governo Letta di “eliminare ogni riferimento alla web tax e porre il tema dopo una riflessione sistematica nel semestre europeo”. Ma la sua posizione non è passata.
Venerdì scorso, tuttavia, la parlamentare del Pd e componente della commissione Trasporti e Telecomunicazioni della Camera, Lorenza Bonaccorsi, insieme ai colleghi del Partito Democratico Paolo Coppola, Marco Causi e Giampaolo Galli, ha presentato un ordine del giorno sulla web tax che impegna il governo alla notifica presso la Commissione Europea, oltre a un “eventuale” sospensione degli “effetti della norma introdotta” e alla valutazione di “meccanismi correttivi della disposizione”.
Peraltro la Ue aveva già bocciato la norma. Poche ore prima Emer Traynor, portavoce del commissario europeo per la fiscalità e l’unione doganale Algirdas Šemeta, ha osservato che la web tax “sembrerebbe contraria alle libertà fondamentali e i principi di non-discriminazione stabiliti dai trattati”. E lo stesso premier Enrico Letta ha sentito il dovere di segnalare il “bisogno di un coordinamento con le norme europee essenziali”.
A sua volta Boccia ha continuato a difendere il provvedimento sottolineando anche oggi come, proprio a causa di questa “battaglia condotta dall’Italia”, il tema della tassazione dei colossi del web nei Paesi in cui operano sia diventato “centrale per l’Unione europea”.
Tra le numerose voci contrarie alla web tax il Movimento 5 Stelle, Stefano Parisi, presidente di Confindustria digitale, Filippo Taddei, responsabile economico del Partito democratico e Riccardo Donadon, Presidente di Italia Startup. Tra coloro che si sono espressi a favore invece l’editore Carlo De Benedetti e l’esperto di media digitali Andrea Pezzi.