I colossi del digitale sono “i veri vincitori della pandemia” di Covid-19, dato che “hanno aumentato le loro attività, i loro profitti, le loro capitalizzazioni di Borsa”, e tutto questo convive con un sistema di tassazione che è “del secolo scorso”, basato sulla sede fisica delle imprese. Se non si arriverà ad una web tax basata su una “intesa globale in sede Ocse-G20 entro il primo semestre 2021” la Commissione Europea presenterà una proposta per una digital tax europea. Lo ha affermato Paolo Gentiloni, commissario europeo all’Economia, in audizione in remoto da Bruxelles davanti alle commissioni riunite Finanze e Politiche Ue della Camera del Parlamento italiano.
“Il presidente Gentiloni ha evidenziato un’istanza di giustizia fiscale su cui il Governo italiano ha una posizione apprezzabile, che deve essere sostenuta dal più ampio accordo politico nell’interesse del Paese e dei cittadini – ha commentato la presidente della commissione Lavoro della Camera, Debora Serracchiani – Le multinazionali del web non possono continuare a esistere virtualmente dal punto di vista fiscale mentre i loro profitti si moltiplicano molto concretamente, magari traendo vantaggio dal Covid, da chiusure di negozi tradizionali, da interruzione di spostamenti o da discutibili condizioni contrattuali per i lavoratori”.
Il lungo percorso della digital tax
L’intesa internazionale sulla web tax era attesa per la fine del 2020, ma a metà ottobre è stato annunciato uno slittamento di sei mesi a causa, da un lato, del rallentamento dei lavori causato dall’emergenza sanitaria Covid-19, dall’altro delle divergenze politiche emerse nel corso del negoziato, che coinvolge ben 137 Paesi.
Un corposo rapporto di aggiornamento pubblicato dall’Ocse in vista della riunione dei ministri delle Finanze e dei governatori delle Banche centrali del G20 del 14 ottobre scorso ha evidenziato i “consistenti progressi” nella trattativa multilaterale per una riforma della fiscalità internazionale che risponda alle sfide della digitalizzazione dell’economia, ma ha anche messo l’accento su “questioni politiche e tecniche” irrisolte.
Per l’Europa niente più rinvii
A inizio novembre il ministro delle Finanze tedesco Olaf Scholz ha affermato che l’Ue è pronta ad aspettare la metà del 2021 per avere le conclusioni dei negoziati in sede Ocse che modificheranno il regime di tassazione delle Big tech. Durante gli incontri dell’Ecofin Scholz ha indicato che “sono stati compiuti progressi inaspettati e che è necessario avere un consenso” ampio sulla digital tax.
Il ministro tedesco ha ribadito che Ocse e G20 sono d’accordo sul prolungamento della scadenza (prima fissata a fine 2020) per l’accordo sulla web tax, suggerendo così che l’Unione europea, dopo aver sostenuto di voler procedere da sola in mancanza di un accordo Ocse a fine 2020, ha ammorbidito la sua posizione.
L’intervento di Gentiloni chiarisce ora che l’Europa è disposta a dare un’ultima chance all’accordo internazionale sulla web tax, ma senza concedere più rinvii.
L’anno prossimo sarà l’Italia ad assumere la presidenza del G20, ora affidata all’Arabia Saudita.
La web tax nell’accordo Next Generation Ue
A luglio Paolo Gentiloni, ha presentato il pacchetto sulla cooperazione fiscale Ue che rappresenta un primo passo per la creazione – almeno nelle intenzioni della Commissione – di un’area fiscale comune. Al centro della strategia la collaborazione amministrativa tra gli Stati membri per combattere l’abuso fiscale, ad esempio attraverso controlli fiscali congiunti.
La Commissione stima che le perdite annuali di entrate nell’Ue dovute evasione fiscale internazionale da parte di privati è stata sia di 46 miliardi di euro, l’elusione dell’imposta sulle società di oltre 35 miliardi e le frodi sull’Iva transfrontaliere a di 50 miliardi.
Nell’accordo sul Next Generation Eu dovrebbe invece vedere la luce la tassa sui colossi del web che potrebbe fruttare fino a 1 miliardo di euro l’anno. Il lavoro dell’Ocse per la tassazione delle aziende “con una presenza digitale significativa” ne dovrebbe costituire la base di partenza. Senza un accordo Ocse l’Europa procederà da sola.
L’incognita Usa sulle trattative
Il principale ostacolo al successo dei negoziati è stata l’uscita degli Stati Uniti dal dibattito lo scorso giugno. Gli Usa di Trump hanno visto la web tax come una misura punitiva per i campioni tecnologici nazionali come Google, Amazon, Facebook e Apple, anche se hanno addotto come motivo per il ritiro dai negoziati l’emergenza coronavirus.
Le elezioni presidenziali aggiungono nuove incertezze al quadro. Nella sua campagna il presidente eletto Joe Biden ha indicato di voler imporre tasse più alte sulle aziende degli Stati Uniti, ma che questo implichi un atteggiamento favorevole nei confronti della web tax internazionale non è affatto ovvio. Pur essendosi dichiarato pronto alla collaborazione internazionale, molti esperti dubitano che tra le prime mosse di Biden vi sarà lo sblocco dei negoziati in sede Ocse.
Pil a rischio senza riforma fiscale condivisa
La riforma della fiscalità internazionale sui colossi del mondo digitale è parte integrante del progetto Beps (Base erosion and profit shifting), finalizzato a garantire che il pagamento delle tasse avvenga nel luogo in cui avvengono effettivamente le attività economiche: un metodo per contrastare il trasferimento degli utili societari verso Paesi con una fiscalità agevolata, o addirittura inesistente, a danno della base imponibile in molti Paesi in cui grandi conglomerati globali operano attraverso controllate. Con questa revisione fiscale, in particolare, ci si pone l’obiettivo di definire quanto, dove e come tassare i giganti del web. Una necessità resa ancor più stringente – come evidenziato a ottobre da un rapporto Ocse.
L’assenza di una soluzione basata sul consenso potrebbe infatti portare a una proliferazione di tasse unilaterali sui servizi digitali e a un aumento delle controversie fiscali e commerciali dannose, che minerebbero la certezza fiscale e gli investimenti, ha affermato l’Ocse. Nello scenario peggiore – una guerra commerciale globale innescata da tasse unilaterali sui servizi digitali in tutto il mondo – il mancato raggiungimento di un accordo potrebbe ridurre il Pil globale di oltre l’1% all’anno.