La web tax supera lo scoglio di Montecitorio. Il governo ha ottenuto la fiducia della Camera sulla legge di stabilità con 350 favorevoli, 196 contrari, un astenuto, 82 assenti.
È quindi passata la norma, contenuta appunto all’interno della legge di stabilità, che contiene due elementi-chiave sui quali si è molto discusso in questi giorni: la possibilità di acquistare servizi di pubblicità, link sponsorizzati online e spazi pubblicitari solo da soggetti titolari di partita Iva italiana e l’obbligo per le società attive nel settore della raccolta pubblicitaria online di “utilizzare indicatori di profitto diversi da quelli applicabili ai costi sostenuti per lo svolgimento della propria attività”.
Il testo della legge di stabilità passerà al Senato lunedì 23 dicembre per il via libera definitivo.
Sulla questione è intervenuto il presidente del Consiglio Enrico Letta al termine del Consiglio europeo di Bruxelles. “È evidente – ha detto – che quel tipo di intervento fiscale che la Camera ha introdotto ha bisogno di un coordinamento con le norme europee essenziali: l’inserimento di questo punto” nell’agenda europea “ci consentirà di sciogliere questo nodo, un nodo che va sciolto”.
Le ultime modifiche della normativa, promossa dal presidente della Commissione Bilancio della Camera Francesco Boccia (Pd), sono state apportate nella notte del 17 dicembre dalla stessa commissione Bilancio della Camera. Il testo è stato riformulato dopo una serie di critiche piovute sul provvedimento, cancellando qualsiasi riferimento a vincoli fiscali per il commercio elettronico.
Poco dopo è arrivata l’allerta dell’Ufficio Studi della Camera, che ha segnalato il comma 17-bis “non compatibile con la normativa comunitaria in materia di libertà di circolazione di beni e servizi” e ha rilevato che mancano “specifici strumenti” per l’attività di informazione nei confronti dei consumatori.
Dopodiché è arrivata la prima bocciatura pubblica della Ue, secondo la quale la web tax “sembrerebbe contraria alle libertà fondamentali e i principi di non-discriminazione stabiliti dai trattati”. Lo ha detto al Corriere delle Comunicazioni Emer Traynor, portavoce del commissario europeo per la fiscalità e l’unione doganale Algirdas Šemeta, esprimendo “seri dubbi sull’emendamento per come si presenta attualmente”.
Dopo il via libera al provvedimento l’aula ha votato gli ordini del giorno collegati alla legge di stabilità. E’ passato l’ordine del giorno contro la webtax a firma Lorenza Bonaccorsi e Paolo Coppola, con cui il governo si impegna a “notificare quanto prima la norma alla Commissione europea come previsto da direttiva 98/34/CE e ad intraprendere ogni iniziativa urgente utile a evitare che la norma introdotta procuri un danno anche solo indiretto allo sviluppo dell’economia digitale nel nostro paese, eventualmente anche sospendendo gli effetti della norma introdotta”.
La web tax si è attirata negli ultimi mesi varie critiche, tra cui quella di Renzi, che più volte aveva manifestato la sua contrarietà al provvedimento e che due giorni fa in un tweet aveva chiesto al governo Letta “di eliminare ogni riferimento alla web tax e porre il tema dopo una riflessione sistematica nel semestre europeo”.
Critiche sono arrivate anche dai 5 Stelle (“Era difficile peggiorare una norma come quella della web tax ma il testo uscito dalla commissione Bilancio della Camera è riuscito in questa improba impresa”), da Stefano Parisi, presidente di Confindustria digitale, Filippo Taddei, responsabile economico del Partito democratico e Riccardo Donadon, presidente di Italia Startup. Tra coloro che si erano espressi a favore invece l’editore Carlo De Benedetti e Andrea Pezzi, fondatore della media company Ovo.
Tra i sostenitori della norma anche la vicepresidente della commissione bilancio della Camera, Barbara Saltamartini (Nuovo Centrodestra), che tra l’altro difende la prima versione della norma che prevedeva vincoli fiscali per tutti i soggetti del commercio elettronico. Accantonare la proposta iniziale, ha detto, “è stato un errore» e le multinazionali della new economy che traggono profitti in Italia devono “pagare tanto quanto le nostre aziende. Commercianti e artigiani – spiega l’esponente di Ncd – fanno i salti mortali per non chiudere i battenti e resistere alla crisi economica”.
Sulla web tax è intervenuto nuovamente oggi Parisi non appena saputo del voto di fiducia alla Camera. “E’ una decisione senza senso – ha detto – fuori dalle regole europee, che continua a creare indeterminatezza e sconcerto nel settore dell’informatica. Noi non abbiamo mai detto che non si debbano pagare le tasse sui prodotti digitali – ha proseguito Parisi – ma questo è un grande tema globale, su cui sono già al lavoro sia l’Ocse sia la Ue, che dovrà presentare una proposta nel settembre 2014, proprio quando l’Italia avrà la presidenza europea. È una decisione populista. Il presidente della commissione bilancio della Camera, Boccia, ha detto che adesso anche Google porterà valore in Italia, confondendo ilvalore con il gettito fiscale. Per noi invece il valore è lo sviluppo, l’occupazione, la ricerca e rispetto a questi fattori di crescita spesso le tasse sono un freno, non certo uno stimolo”.
Contrari anche i giovani imprenditori della Cna. “Non siamo d’accordo sulla WebTax – dice la presidente Stefania Milo – proprio per una questione di principio che va al di là dell’equità fiscale. Far pagare le tasse alle internet company in base al fatturato che fanno in ogni singolo paese, vuol dire esprimere una volontà punitiva nei confronti loro, che necessariamente meno investirebbero in quei paesi nei quali è più elevata la pressione fiscale e gli effetti della burocrazia più gravosi. Mentre sono proprio quei paesi che hanno la necessità di fornire alla loro produzione, quel valore aggiunto che il web ed i servizi digitali a tutto tondo (dal commercio elettronico, alla pubblicità, ai banali server residenti in paesi terzi) riescono oggi a fornire in una società sempre più globalizzata e rispondente a scelte condivise e socializzate”.