La Francia mette in vigore la sua web tax: nessun cedimento alle pressioni degli Stati Uniti e alle pesanti minacce di ritorsioni in forma di dazi. Parigi ha deciso: in attesa dell’accordo in seno all’Ocse, ormai slittato a metà 2021, la Francia adotterà il nuovo regime sul prelievo fiscale per le grandi aziende del digitale, le Big Tech come Google o Amazon. Lo ha annunciato il ministro delle Finanze francese Bruno Le Maire. La Francia aveva sospeso a gennaio l’entrata in vigore della sua tassa sui colossi del web aspettando una risoluzione internazionale entro l’autunno.
La tassa francese che ha scatenato Trump
La digital tax approvata dal Parlamento francese lo scorso anno prevede un’aliquota del 3% su ricavi superiori a 750 milioni di euro su scala globale di cui almeno 25 milioni in Francia e derivanti dai servizi digitali delle società del web. Si applicherà retroattivamente dal 1 gennaio 2019 e frutterà 400 milioni di euro solo per quest’anno.
Il fatto che la tassazione sia decisa in base al fatturato e non ai profitti è stato un elemento determinante nella dura reazione americana.
L’amministrazione Trump ha infatti minacciato di tassare pesantemente i principali prodotti di esportazione francese verso gli Stati Uniti, come profumi, borse, vini e formaggi, per un ammontare complessivo stimato intorno a 1,3 miliardi di dollari. I dazi alla Francia potrebbero anche essere totali, ovvero coinvolgere il 100% delle merci francesi vendute in America per un valore di oltre 2,5 miliardi di euro, se verrà concretizzata la tassazione punitiva minacciata dallo US Trade Representative Robert Lighthizer.
Parigi non si è fatta spaventare. “Con gli Usa siamo sempre stati trasparenti”, ha sottolineato Le Maire in una telefonata con i giornalisti dopo uno degli incontri virtuali dei ministri delle Finanze del G20. Come riporta la testata Politico, il ministro ha sottolineato di aver chiaramente detto alle controparti americane che, se non si fosse trovato un accordo in ambito Ocse entro l’autunno, la Francia sarebbe andata avanti con la sua web tax.
Negoziati in salita all’Ocse
Secondo l’Ocse , l’introduzione di una digital tax su basi condivise a livello mondiale potrebbe aumentare complessivamente gli introiti dall’imposta societaria globale tra 60 e 100 miliardi di dollari l’anno, pari a circa il 4% dell’importo totale di tale tassazione. I negoziati tuttavia procedono a rilento e nell’ultimo incontro i Paesi aderenti – ben 137 – hanno spostato a metà 2021 (rispetto alla fine del 2020, come previsto in precedenza) la data per raggiungere una soluzione internazionale condivisa sulla web tax. È la conseguenza da un lato del rallentamento causato dall’emergenza sanitaria Covid-19, dall’altro delle divergenze politiche emerse nel corso del negoziato.
Secondo un corposo rapporto di aggiornamento (circa 750 pagine) pubblicato dall’Ocse in vista della riunione dei ministri delle Finanze e dei governatori delle Banche centrali del G20 che si è tenuta ieri, sono stati fatti“consistenti progressi” sulla riforma della fiscalità che risponda alle sfide della digitalizzazione, ma non c’è ancora un accordo finale.
La riforma della fiscalità internazionale sui colossi del mondo digitale è parte integrante del progetto Beps (Base erosion and profit shifting), finalizzato a garantire che il pagamento delle tasse avvenga nel luogo in cui avvengono effettivamente le attività economiche: un metodo per contrastare il trasferimento degli utili societari verso Paesi con una fiscalità agevolata, o addirittura inesistente, a danno della base imponibile in molti Paesi in cui grandi conglomerati globali operano attraverso controllate. Con questa revisione fiscale, in particolare, ci si pone l’obiettivo di definire quanto, dove e come tassare i giganti del web. Resta il nodo della posizione degli Usa, i più ostili al prelievo fiscale sulle Big Tech, che sono per lo più americane.
Sarà una sfida da risolvere anche per l’Italia, che l’anno prossimo assumerà la presidenza del G20, ora nelle mani dell’Arabia Saudita.