L’Europa si divide sulla web tax. La spaccatura è ufficialmente emersa nella riunione del Consiglio europeo dove Olanda, Irlanda, Lussemburgo, Malta e Cipro hanno espresso la loro opposizione al piano europeo per tassare i big del web, auspicando un accordo a livello globale. “Chi vuole un accordo globale non favorevole ad andare avanti, perché l’ultimo G20 ha mostrato che un’ipotesi di accordo globale è quantomeno improbabile – ha spiegato il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, al termine della riunione -. Ora si deve valutare se i quattro-cinque paesi che hanno delle riserve avvicineranno le loro posizioni a quelle della grande maggioranza dei paesi europei per procedere a 28, oppure se possono realizzarsi forme di cooperazione rafforzata”.
Il piano della Commissione Ue può contare sull’appoggio del Parlamento europeo, come evidenziato dal sui presidente, Antonio Tajani. “Il Parlamento europeo si è sempre schierato a favore della web tax, l’ho detto anche ieri in occasione del mio intervento durante la riunione del Consiglio europeo. Mi auguro che adesso tutti gli Stati membri la accolgano – ha sottolineato Tajani parlando con i giornalisti a margine del convegno di Confcommercio a Cernobbio -. D’altronde noi siamo favorevoli a una armonizzazione fiscale, quindi anche gli stati che fanno un po’ di concorrenza al ribasso con una bassa pressione fiscale credo che debbano adeguarsi perché è in ballo l’interesse di tutti quanti e di mezzo miliardo di cittadini europei. Mi auguro che sulla web tax si possa andare avanti, sicuramente il Parlamento sosterrà con grande forza la proposta della Commissione”.
Il Parlamento Ue, con un emendamento alla proposta sulla nuova base imponibile consolidata comune per l’imposta sulle società (Ccctb) presentata dalla Commissione Ue nel 2016, ha dato il via libera alla tassazione dei dati degli utenti raccolti dalle web society. Secondo i deputati è opportuno che la formula di ripartizione della base imponibile consolidata comprenda quattro fattori cui è attribuita la medesima ponderazione: oltre a lavoro, attività e vendite in funzione della destinazione, si aggiunge ora anche la voce “raccolta e utilizzo dei dati personali degli utenti di piattaforme e servizi online”.
Il 21 marzo la Commissione ha proposto il pacchetto sul fisco digitale basato su due proposte. La prima proposta, quella relativa alle norme, definisce il “perimetro” entro cui è possibile la tassazione degli utili anche in presenza di una società che non abbia presenza fisica in uno Stato membro. In dettaglio, una piattaforma digitale sarà considerata una “presenza digitale” imponibile o una stabile organizzazione virtuale in uno Stato membro nel caso si superi la soglia dei 7 milioni di euro di ricavi annuali in uno Stato membro, si superino i 100.000 utenti in uno Stato membro in un esercizio fiscale e si registrino oltre 3.000 contratti commerciali per servizi digitali tra l’impresa e utenti aziendali in un esercizio fiscale. In definitiva – spiega la Commissione – il nuovo sistema garantisce un legame effettivo tra il luogo in cui gli utili sono realizzati e quello in cui sono tassati. E la misura, annuncia inoltre la Commissione, potrebbe essere successivamente integrata nel campo di applicazione della base imponibile consolidata comune per l’imposta sulle società (CCCTB), iniziativa che la Commissione stessa ha già proposto per ripartire gli utili dei grandi gruppi multinazionali in un modo che tenga maggiormente conto del luogo in cui il valore è creato.
La seconda proposta, quella sull’imposta temporanea, punta a garantire che le attività attualmente non tassate inizino a generare un gettito immediato per gli Stati membri e ad evitare che alcuni Stati membri adottino misure unilaterali per tassare le attività digitali. L’imposta indiretta in questione si applicherebbe ai ricavi generati da determinate attività digitali che sfuggono completamente al quadro fiscale attuale. Tale sistema – chiarisce la Commissione- si applicherà solo a titolo temporaneo, fino all’attuazione di una riforma globale integrata da meccanismi che limitino la possibilità della doppia imposizione. E si applicherà ai ricavi ottenuti dalle attività in cui gli utenti svolgono un ruolo fondamentale nella creazione di valore e che sono i più difficili da quantificare con le norme fiscali attuali, come ad esempio i ricavi generati dalla vendita di spazi pubblicitari online, da attività di intermediazione digitale che permettono agli utenti di interagire con altri utenti e che possono facilitare la vendita di beni e servizi tra di essi o quelli ottenuti dalla vendita di dati generati da informazioni fornite dagli utenti.
L’imposta sarà riscossa dagli Stati membri in cui si trovano gli utenti – puntualizza la Commissione – e si applicherà solo alle imprese con ricavi annui complessivi a livello mondiale di 750 milioni di euro e ricavi nell’Ue di 50 milioni di euro. Esonerate dall’imposta dunque start-up e le scale-up più piccole. Secondo le stime, se sarà applicata a un’aliquota del 3%, l’imposta potrà generare entrate per gli Stati membri dell’ordine di 5 miliardi di euro all’anno. La palla ora passa al Consiglio Ue per adozione e al Parlamento europeo per consultazione.