Si va verso l’approvazione definitiva della web tax in Aula: in futuro chi vorrà acquistare servizi di pubblicità, link sponsorizzati online e spazi pubblicitari lo potrà fare solo da soggetti titolari di partita Iva italiana. Ma sulla proposta Boccia è caos: dopo le critiche al provvedimento arriva anche il parere dell’ufficio studi della Camera: “Il comma bis non appare compatibile con la normativa comunitaria”.
Come spiega Lorenza Bonaccorsi, parlamentare del Pd e componente della commissione Trasporti e Telecomunicazioni della Camera, dalla conferenza odierna dei capigruppo è emersa la decisione di votare la fiducia alla legge di stabilità che contiene l’emendamento relativo alla web tax promosso dal presidente della Commissione Bilancio della Camera Francesco Boccia e riscritto ieri sera proprio in Commissione Bilancio.
Il voto in aula era previsto per oggi pomeriggio ma dovrebbe slittare a domani pomeriggio o forse a dopodomani. In ogni caso, con il voto di fiducia, la web tax passerà così com’è nella sua ultima formulazione. Proprio oggi però è arrivato l’allerta dell’Ufficio Studi della Camera, che segnala una possibile infrazione della normativa comunitaria. “Il comma 17-bis non appare compatibile con la normativa comunitaria in materia di libertà di circolazione di beni e servizi” si legge nel testo a commento dell’emendamento. “Si valuti, inoltre – prosegue l’Ufficio studi – che la disposizione introduce un obbligo per i consumatori che presuppone una attività di informazione ai cui fini la disposizione non fornisce specifici strumenti”. Questa valutazione però non dovrebbe inficiare l’approvazione definitiva del testo se il governo e il parlamento decideranno appunto di blindare la legge di stabilità, facendo passare la norma così com’è.
Il testo è stato riscritto ieri notte dopo le polemiche e la critica di Matteo Renzi: inizialmente prevedeva una serie di interventi normativi ai fini Iva e delle imposte dirette per tassare in Italia i proventi derivanti dal commercio elettronico diretto e indiretto. Dal testo finale è sparita qualsiasi traccia di imposizione fiscale per i soggetti che effettuano il servizio di commercio elettronico diretto o indiretto. Sono però stati aggiunti due commi in cui si specifica che “i soggetti passivi che intendano acquistare servizi di pubblicità e link sponsorizzati online anche attraverso centri media ed operatori terzi sono obbligati ad acquistarli da soggetti titolari di una partita Iva italiana” e che “gli spazi pubblicitari online e i link sponsorizzati che appaiono sulle pagine dei risultati dei motori di ricerca (…), visualizzabili sul territorio italiano durante la visita di un sito o la fruizione di un servizio online (…) devono essere acquistati esclusivamente attraverso soggetti quali editori, concessionarie pubblicitarie, motori di ricerca o altro operatore pubblicitario, titolari di partita Iva italiana”.
L’approvazione della web tax in questa versione non corrisponde a quanto richiesto dal nuovo segretario del Pd, Matteo Renzi, che più volte aveva manifestato la sua contrarietà al provvedimento e che ieri sera in un tweet aveva chiesto al governo Letta “di eliminare ogni riferimento alla web tax e porre il tema dopo una riflessione sistematica nel semestre europeo”.
“Ormai la frittata è fatta” commenta Lorenza Bonaccorsi, aggiungendo che intende comunque presentare un ordine del giorno reiterando la richiesta di discutere il testo in sede europea. Sui tempi e sui modi di questa sua proposta si riserva comunque di decidere dopo il via libera definitivo alla legge di stabilità.
Critiche arrivano anche dai 5 Stelle. “Era difficile peggiorare una norma come quella della web tax – dichiara il gruppo del Movimento 5 Stelle alla Camera – ma il testo uscito dalla commissione Bilancio della Camera è riuscito in questa improba impresa. Al di là delle parole di Renzi, che restano solo sulla carta, sta di fatto che rimane l’obbligo di aprire una partita Iva per chi voglia vendere pubblicità online in Italia, viene mantenuto il vincolo di acquisto da soggetti in possesso di partita Iva italiana e obbligo di usare sistemi di pagamento come bonifici bancari o postali. La riformulazione – aggiungono i pentastellati – è il peggior esempio di come una classe politica incompetente e miope possa procurare danni al Paese. Le nuove norme scoraggiano le startup che vogliano investire in Italia, sono penalizzati i piccoli imprenditori italiani, oltre tutto non è previsto alcun nuovo sistema di tassazione. Probabilmente il lettiano Boccia si è fatto spaventare dagli slogan di Matteo Renzi“.
Altre voci contrarie al testo nei giorni scorsi sono venute da Stefano Parisi, presidente di Confindustria digitale, Filippo Taddei, responsabile economico del Partito democratico, Riccardo Donadon, presidente di Italia Startup. Tra coloro che si erano espressi a favore invece l’editore Carlo De Benedetti e Andrea Pezzi, fondatore della media company Ovo.