Tassare gli utili dove vengono generati. E’ questo secondo il presidente dell’Antitrust italiano, Roberto Rustichelli, lo schema di riferimento per la web tax. “Per la tassazione dei giganti del web in Europa – spiega in audizione alla Camera – occorre, in particolare, recuperare lo stretto legame che deve esistere tra luogo di produzione del valore e degli utili e luogo in cui l’imposta viene effettivamente versata, anche perché l’attività delle società digitali incide negativamente su quella degli operatori ‘tradizionali’ radicati a livello territoriale”.
“Negli ultimi 5 anni la Commissione europea ha inflitto a Google oltre 8 miliardi di euro di sanzioni, somma che, se appare prima facie elevata per i tradizionali standard europei, è assai poco deterrente – spiega – ove comparata ai circa mille miliardi di dollari di capitalizzazione in borsa della società stessa”.
“Il fenomeno della concorrenza fiscale sleale interessa in larga misura anche i grandi operatori digitali – osserva – Come è ben noto, si tratta delle società con le maggiori valorizzazioni di borsa a livello globale: i cinque Gafam (Google, Apple, Facebook, Amazon e Microsoft) oggi capitalizzano oltre 6 mila miliardi di dollari. Un valore che corrisponde al prodotto interno lordo generato dall’Italia in oltre tre anni”.
“Non stupisce, dunque, che tali soggetti abbiano oggi ulteriormente rafforzato il già amplissimo potere di mercato detenuto, rendendolo, se possibile, ancora meno contendibile, con impatti diretti e indiretti sull’organizzazione di intere filiere produttive, anche di quelle più tradizionali”, afferma Rustichelli.
“In tale quadro, il versante fiscale resta certamente uno dei terreni più problematici poiché anche da esso trae alimento l’enorme potere economico dei giganti digitali – evidenzia – La tassazione delle attività di tali operatori, infatti, è spesso oggetto di tax ruling ad-hoc e costituisce, anche al di là di tali fenomeni patologici, una delle principali tematiche che devono certamente essere affrontate dall’Europa” conclude.
Rustichelli focalizza l’attenzione anche sul danno che i paradidi fiscali procovano nelle economie degli altri Paesi.
“Paesi come l’Irlanda, l’Olanda e il Lussemburgo sono veri e propri paradisi fiscali nell’area euro, che attuano pratiche fiscali aggressive che danneggiano le economie degli altri Stati membri e che, anche grazie a queste pratiche, registrano elevatissimi tassi di crescita – spiega – Alcune ricerche stimano che, a causa della concorrenza fiscale sleale a livello europeo, il fisco italiano perde la possibilità di tassare oltre 23 miliardi di dollari di profitti: 11 miliardi di profitti vengono spostati in Lussemburgo, oltre 6 miliardi in Irlanda, 3,5 miliardi in Olanda e oltre 2 miliardi in Belgio. Ciò comporta un danno per l’Italia che può essere stimato tra i 5 e gli 8 miliardi di dollari l’anno”.