Si complica il dossier web tax arrivato sul tavolo dell’Ecofin. L’obiettivo della presidenza austriaca è almeno di arrivare a un chiarimento tra i ministri europei sulla linea da seguire sul contrastato dossier della tassazione dei colossi digitali, ma sono in molti a ritenere che le cose non siano ancora mature.
La discussione verte sulle due proposte del pacchetto preparato dalla Commissione europea: una tassazione fissa basata sul fatturato pari al 3% e secondo le stime potrà generare entrate per 5 miliardi di euro; un’imposta temporanea su determinati ricavi di attività digitali per garantire che le attività attualmente non tassate inizieranno a generare un gettito immediato per gli Stati membri.
“Vorremmo che domani si definiscano le questioni e che si faccia un po’ di chiarezza sulla base di dichiarazioni concrete”, ha auspicato il ministro delle Finanze austriaco Hartwig Loeger.
Una partita non facile da arbitrare per l’Austria: al gruppo di Paesi tradizionalmente contrari alla web tax (Irlanda, Olanda, Lussemburgo) si è aggiunta la Germania che ha sollevato una serie di obiezioni, tant’è vero che il ministro Olaf Scholz stamattina a dichiarato che il “dossier è molto complicato: non possiamo trovare delle soluzioni semplici per cui è logico procedere con cautela”.
Nei giorni scorsi il quotidiano tedesco Bild, citando un documento confidenziale del ministero delle Finanze, ha scritto che Scholz avrebbe abbandonato il progetto di alzare le tasse sulle aziende digitali per evitare una “non produttiva demonizzazione” dei big di Internet. Questa marcia indietro viene interpretata come una sconfitta politica in quanto contraria alla posizione sostenuta in campagna elettorale dal partito di Scholz (i socialdemocratici della Spd) che hanno fatto della web tax un cavallo di battaglia. Ora la SPD è parte della coalizione di governo guidata dalla più conservatrice cancelliera Angela Merkel.
L’Austria invita ad adottare un approccio uniforme basato sulla proposta della Commissione del prelievo del 3% sui ricavi delle società che fatturano almeno 50 milioni di euro a livello europeo.
Ai ministri delle Finanze Ue Vienna proporrà di tassare solo gli introiti dei servizi di pubblicità online, colpendo quindi innanzitutto i due colossi del settore Google e Facebook, e i marketplace virtuali, dove domina Amazon. Come suggerito dalla Commissione europea, sarebbero tassate solo le imprese con fatturato annuale globale di 750 miioni di euro e fatturato Ue annuale di almeno 50 milioni di euro; in totale sarebbero interessate circa 200 aziende attive in Europa. Sarebbe esclusa per ora la tassazione delle entrate e dei profitti che derivano dalla vendita di dati, un’ipotesi ventilata nei giorni scorsi dalla commissione per gli Affari economici e monetari del Parlamento europeo che sembra incline a una linea più severa rispetto a quella della Commissione. La presidenza austriaca sarebbe invece per un approccio più “morbido” che agevolerebbe il consenso dei Paesi europei ostili alla web tax.
Le posizioni dei Paesi Ue sul tema, infatti, non sono omogenee. Italia, Francia e Austria vogliono l’adozione in tempi brevi della proposta della Commissione europea sulla tassazione dei servizi digitali a partire dalla fine del 2018, per iniziare ad affrontare il tema della tassazione dell’economia digitale. La Commissione Ue calcola che con un prelievo del 3% verrebbero recuperati 5 miliardi di euro l’anno di tasse sul reddito aziendale. Paesi più piccoli con regimi fiscali molto favorevoli che hanno attratto le sedi europee dei colossi americani, come Lussemburgo e Irlanda, si oppongono a una soluzione solo europea e chiedono una riforma globale della tassazione digitale, che però ha tempi di discussione e approvazione ancora più lunghi. Di qui la proposta dei fautori della web tax Ue di adottare subito una formula “provvisoria” per l’Europa, in attesa di uno schema condiviso su scala mondiale.