DELEGA FISCALE

Web tax, scatta il countdown: il governo ha 12 mesi per decidere

La delega fiscale assegna all’esecutivo un anno di tempo per emanare i decreti legislativi ad hoc dopo aver portato la questione in sede Ue

Pubblicato il 03 Mar 2014

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La web tax tiene ancora banco. Introdotta nella legge di stabilità dal Parlamento, sospesa dal governo Letta e poi cancellata dal governo Renzi nel decreto salva Roma, il “balzello” rispunta nella delega fiscale, a sua volta approvata definitivamente dalla Camera giovedì scorso. La norma, introdotta a settembre in uno dei passaggi parlamentari, fa comunque riferimento a “decisioni in sede Ue”.

La parola ora passa il governo che, in teoria, dovrebbe esercitare la delega emanando un decreto legislativo che contiene la web tax. Il provvedimento assegna all’esecutivo 12 mesi per emanare i decreti legislativi, quindi il tempo per poter portare la questione in sede Ue. La norma dunque non è direttamente operativa, perché la delega fiscale è una legge che, appunto, delega l’esecutivo a varare entro un anno una serie di decreti legislativi che attuano i principi indicati.

Durante l’esame del provvedimento in commissione Finanze della Camera, il 19 settembre 2013, era stato approvato un emendamento dell’articolo 9, dedicato al rafforzamento dei sistemi di controllo in chiave anti-evasione e anti-elusione, che introduceva la web tax. L’emendamento è stato confermato successivamente dall’aula della Camera, nonché dal Senato e ancora da Montecitorio nel terzo e decisivo passaggio. Nel frattempo il Parlamento aveva approvato nella legge di stabilità un emendamento bipartisan che la rendeva subito operativa. Poi la tassa è stata prima sospesa dal governo Letta nel decreto salva Roma, e quindi cancellata da Renzi con la nuova versione di questo decreto approvato venerdì scorso.

La delega afferma che uno dei decreti legislativi dovrà “prevedere l’introduzione, in linea con le raccomandazioni degli organismi internazionali e con le eventuali decisioni in sede europea, tenendo anche conto delle esperienze internazionali, di sistemi di tassazione delle attività transnazionali, ivi comprese quelle connesse alla raccolta pubblicitaria, basati su adeguati meccanismi di stima delle quote di attività imputabili alla competenza fiscale nazionale”. Si tratta di quello che in gergo tecnico si chiama ”aportionment’‘, che consiste nel far pagare alle multinazionali con sede fiscale all’estero, le tasse in Italia per la parte di ricavi che si stima siano stati prodotti nel nostro Paese.

Per Daniele Capezzone (FI), presidente della commissione Finanze della Camera, si tratta di “tempesta in un bicchier d’acqua”, perché si parla esplicitamente di “eventuali decisioni in sede europea”. “Di tutta evidenza infatti – spiega Capezzone – nella norma c’è un esplicito richiamo alla necessità di tenere conto di raccomandazioni internazionali e a eventuali decisioni dell’Ue. Di tutta evidenza, quindi, mentre la versione iniziale di un emendamento di un esponente del Pd tendeva a dare carattere determinato e imperativo alla norma, la versione finale esplicita che tutto deve essere legato a valutazioni internazionali ed europee.

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