Strada tutta in salita per la web tax europea mentre in Italia scadono oggi i termini per i decreti attuativi della misura transitoria, inserita nelle legge di stabilità. Il governo Gentiloni, in carica per gli affari correnti, non ha messo mano ai provvedimenti – è al Mef che spetta la loro redazione – anche perché impegnato nei colloqui a livello Ue. Quello del 30 aprile è comunque un termine ordinatorio e non perentorio, quindi senza effetti in caso di inosservanza. Quello che è certo però che, allo stato, l’Italia preferisce aspettare la decisione della Ue, nonostante sulla web tax ad addensarsi i dubbi che l’Ecofin informale di Sofia non ha fatto che alimentare. Anche i Paesi un tempo convinti sostenitori, come Regno Unito e Germania, premono sul freno e puntano ad allungare i tempi, mentre la Francia sogna una fuga in avanti entro l’anno e la Commissione spinge per promuovere la sua proposta da attuarsi in due fasi: una prima proposta ad interim che fissa un’aliquota del 3% su tutte le aziende del Web con un fatturato superiore ai 50 milioni di euro in Europa; una seconda di lungo termine che tassa i profitti generati su un certo territorio da parte delle multinazionali che superano i 7 milioni di ricavi in uno Stato membro o contano più di 100mila utenti nell’intero perimetro Ue. Si stimano incassi pari a 5 miliardi di euro l’anno su scala continentale.
Il ministro dell’economia Pier Carlo Padoan intravede il rischio di un arenarsi del dibattito e invita i colleghi a “passare ai fatti”. Ma il commissario Ue agli affari economici Pierre Moscovici prova a ridimensionare la frenata sulla tassazione digitale emersa in modo evidente dopo la due giorni di riunioni informali: “E’ ovvio che non c’è consenso oggi”, perché come accadde per tutte le proposte che riguardano il fisco, “non c’è mai consenso all’inizio”, ma “anche gli scettici ritengono che bisogna fare qualcosa e che la situazione non può restare così”.
Moscovici ha spiegato che, anche se non c’è consenso e ci sono “molte opinioni diverse attorno al tavolo”, in molti sono a favore della proposta della Commissione. “Ci serve un accordo entro fine anno, prima del nuovo ciclo di elezioni europee e della nuova Commissione”, ha aggiunto. Ma sulle sue parole pesano le posizioni da sempre contrarie di Irlanda, Malta, Cipro, Lussemburgo e Repubblica Ceca, a cui si aggiunge una Germania diventata scettica sulle misure a breve termine, cioè su una tassa europea da attuare subito invece di aspettare un’intesa all‘Ocse. Intesa che nei giorni l’organizzazione per lo sviluppo economico con sede a Parigi ha annunciato di voler anticipare al 2019 – e non al 2020 come nelle intenzioni iniziali – proprio per fare assist alla Ue.
Il Governo tedesco sembra essersi raffreddato dopo le proteste arrivate dagli industriali la scorsa settimana, e il ministro dell’economia Olaf Scholz non ha nemmeno preso la parola sul tema durante l’Ecofin, segnalando quantomeno una posizione attendista. La Francia invece continua a spingere – anche se per ora a vuoto – sull’acceleratore, e chiede un accordo entro l’anno. E c’è chi, come la Spagna, annuncia di andare avanti da sola con una sua web tax come del resto ha già fatto l’Italia anche se aspetta ancora i decreti attuativi. Non è solo la web tax a dividere Parigi e Berlino, che puntano così a trovare una sintonia per scrivere la road map comune sulle riforme dell’Eurozona da presentare al summit Ue di giugno. La riforma del meccanismo di stabilità (Esm), la capacità di bilancio dell’Eurozona, la convergenza fiscale: sono tutti temi a cui Le Maire e Scholz lavoreranno nelle prossime settimane per arrivare ad una posizione comune. Sul completamento dell’unione bancaria già si sente una sintonia: “Devi prima ridurre i rischi per i cittadini e poi si possono condividere”, ha detto il francese, riprendendo una posizione cara alla Germania che di fatto chiude alla possibilità di approvare in fretta lo schema comune di assicurazione sui depositi.