Anche il Movimento 5 Stelle va all’assalto dell’articolo 10 del Decreto del Fare sul “wi-fi libero”. Ieri, nell’ultimo giorno utile, Paolo Nicolò Romano, 29enne deputato componente della Commissione Trasporti, ha depositato alla Camera un emendamento al testo che tante perplessità aveva suscitato dopo la sua pubblicazione in Gazzetta ufficiale. L’emendamento di Romano va ad aggiungersi a quello di Stefano Quintarelli (Scelta Civica), Antonio Palmieri (Pdl) e del governo, tutti tesi a riformulare una normativa considerata poco convincente.
Finora, dell’articolo 10, è stata apprezzata solo la seconda parte del comma 2, che prevede che “qualunque esercente, negozio, privato cittadino possa aprire una rete wi-fi e offrire accesso Internet senza rischiare nulla né sottostare a obblighi burocratici”. Invece il comma 1 e la prima frase del comma 2 sono stati criticati da più parti.
In linea con questo orientamento di pensiero l’esponente del Movimento fondato da Beppe Grillo ha proposto in pratica le stesse modifiche al testo suggerite da Quintarelli. Eccone il testo:
Art. 10. Il comma 1 è soppresso conseguentemente al comma 2 il primo periodo è soppresso.
“Occorre eliminare il comma 1 – spiega Romano – perché è ambiguo. Parla di attività libera in ogni caso, previa registrazione del Mac address che come è noto è ‘falsificabile’. Disporre che l’offerta di accesso ad Internet al pubblico sia libera tout court – prosegue – significa togliere ogni significato al ruolo degli Internet service provider autorizzati, che utilizzino il wi-fi o meno. C’è evidentemente la necessità di intervenire sul testo, altrimenti si rischia la confusione più totale. Anche il primo periodo del comma 2 va eliminato – conclude – perché si dispone un’offerta di accesso libera che non richiede l’identificazione, estendendo così il discorso anche a tutte le connessioni, non solo quelle senza fili”.
Quella del grillino è solo l’ultima voce in ordine di tempo che si va ad unire al coro di critiche contro il testo. Innanzitutto è stato rilevato che non si nomina mai la parola “wi-fi” (la sua introduzione è prevista nell’emendamento di Quintarelli). Poi è stata criticata la frase “l’offerta di accesso ad Internet al pubblico è libera e non richiede la identificazione personale degli utilizzatori”, sia perché considerata superflua – essendo decaduto nel 2010 il Decreto Pisanu che richiedeva l’identificazione personale – sia perché, secondo alcuni giuristi, il riferimento a un “accesso a Internet tout-court” potrebbe far pensare che il decreto estenda l’ambito di applicazione agli operatori tlc e alle sim dati. Sull’“obbligo del gestore di garantire la tracciabilità del collegamento (Mac address)” è stato fatto notare che è facilmente falsificabile. Ma soprattutto su questo punto ha insistito il Garante della Privacy, rilevando nel comma un profilo di illegittimità perché questi dati “a differenza di quanto sostenuto nella norma, sono – ai sensi della Direttiva europea sulla riservatezza e del Codice privacy – dati personali, in quanto molto spesso riconducibili all’utente che si è collegato a Internet”. Il Mac address, di fatto, è un indirizzo assegnato in modo univoco dal produttore ad ogni scheda di rete ethernet o wireless prodotta al mondo. L’utente che, per esempio, decida di utilizzare l’accesso gratis al wi-fi messo a disposizione da una gelateria, non fa altro che agganciarsi attraverso il suo smartphone all’access point fornito dal gelataio: il software dell’access point “vede lavorare” ‘quel’ Mac Address di quello smartphone e, in base all’articolo 10 del Decreto del Fare, ne dovrebbe tenere traccia (logging). In caso di reati di vario tipo (es: l’utente si collega a un sito pedo-pornografico mentre è in gelateria) è in teoria possibile risalire alla sua identità chiedendo al produttore hardware a quale dispositivo corrisponde il Mac Address in questione e, di conseguenza, rintracciare le generalità di chi ha acquisito il dispositivo (sempre che queste generalità siano state rilasciate al momento dell’acquisto del device).
Adesso spetta alle commissioni I (Affari costituzionali) e V (Bilancio e Tesoro) della Camera valutare l’ammissibilità degli emendamenti, operazione che dovrebbe essere portata a termine nei prossimi giorni. Una volta superato questo step, toccherà alle singole commissioni competenti prenderne in esame il contenuto. Ma sui tempi è ancora difficile pronunciarsi.