“C’è uno scollamento tra obiettivi e mezzi”. Con questa parole, Massimiliano Trovato, economista dell’Istituto Bruno Leoni, boccia la proposta di legge – “Disposizioni per la diffusione dell’accesso alla rete Internet mediante connessione senza fili” – presentata dai deputati del PD Sergio Boccadutri, Enza Bruno Bossio, Ernesto Carbone, Alberto Losacco e Gennaro Migliore e firmata da 106 parlamentari.
Cosa non la convince della proposta?
Prima di tutto il fatto che si obbliga i privati ad installare hot spot wi-fi, facendosi carico di un obiettivo di interesse pubblico che non compete loro, in questo caso l’abbattimento del digital divide. Lo Stato ha, sì, il diritto di identificare obiettivi che considera meritevoli di essere raggiunti ma non quello di costringere altri a raggiungerli. A New York, ad esempio, l’amministrazione ha deciso di trasformare le cabine telefoniche in punti wi-fi, ma lo fa nel quadro di un onesto dirigismo che non intacca l’autonomia dei soggetti privati.
Non crede che la proposta possa essere una leva anti digital divide?
Il problema del digital divide in Italia è soprattutto un problema di carenza di domanda di connessioni che dipende da due fattori primari: il gap culturale che caratterizza gran parte della popolazione italiana e l’esistenza di una PA che ancora non riesce a fare da driver ai processi di innovazione, diffusione della banda larga in primis. Credo che per superare il divario serva prima di tutto intervenire sul fronte della domanda.
La diffusione del wi-fi non può rappresentare una spinta per gli investimenti?
Tutt’altro. Oggi in Italia gli operatori privati stanno investendo molto sulla banda larga mobile e il nostro Paese è leader nell’uso di servizi su reti cellulari evolute. La diffusione del wi-fi con un approccio impositivo può disicentivare i privati, soprattutto nelle aree ad alta redditività che sono quelle dove concentrano di più la loro attenzione.