IL CASO

Zuckerberg ammette: “Fuga di dati colpa mia”. Basterà a evitare il fuggi fuggi da Facebook?

In un lungo post le scuse e un piano per rimediare agli errori. Ma negli Usa scatta la class action e l’impatto della vicenda Cambridge Analytica rischia di provocare un danno incalcolabile per il social dei social

Pubblicato il 21 Mar 2018

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Un lungo post su Facebook, e dove altrimenti, per ammettere le proprie responsabilità e chiedere scusa agli utenti sul caso Cambridge Analytica. Mark Zuckerberg esce allo scoperto e prova a “rimediare” annunciando un piano per fare fronte alla situazione.

Dopo i miliardi bruciati in Borsa in pochi giorni e la class action annunciata negli Usa proprio oggi, il fondatore del social dei social è con le spalle al muro. E non ha potuto evitare di esporsi in prima persona ricostruendo i fatti. “Abbiamo la responsabilità di proteggere i vostri dati – scrive rivolgendosi al popolo di Facebook – e se non riusciamo a farlo vuol dire che non vi meritiamo”. Zuckerberg sostiene di essersi impegnato personalmente nel capire “cosa è accaduto esattamente” per assicurarsi che “non avvenga mai più”. “La buona notizia è che le più importanti azioni per prevenire fatti come questi erano già state prese qualche anno fa”. Nonostante le azioni intraprese però è evidente che qualcosa non abbia funzionato: “Abbiamo commesso degli errori – ammette Zuckerberg – c’è ancora molto da fare e dobbiamo fare”.

Dopo le scuse Zuckerberg ricostruisce la timeline degli eventi: “Nel 2017 abbiamo lanciato la Facebook Platform con l’obiettivo di rendere sempre più social le applicazioni”: dal calendar incrociato con informazioni quali date di nascita, geolocalizzazione e rubrica associata alle immagini, queste le iniziative battezzate per “consentire alle persone di condividere informazioni e essere informati sulle attività dei propri amici”, spiega.

Ma bisogna tornare indietro al 2013 per individuare la “falla”: cinque anni fa il ricercatore dell’università di Cambridge Aleksandr Kogan creò un quiz di personalità, un’applicazione- scaricata da circa 300mila persone – che consentiva di incrociare i dati degli utenti e che ha consentito al ricercatore di accedere di fatto ai dati di decine di milioni di utenti. La cosa non passò inosservata già a suo tempo e non a caso nel 2014 fu annunciato un cambio di passo per limitare drasticamente l’accesso ai dati da parte delle applicazioni.

“Da allora le app come quella creata da Kogan, non sono più in grado di indagare i dati in capo agli utenti senza autorizzazione da parte degli utenti stessi”, spiega Zuckerberg nel suo post. E anche agli sviluppatori è richiesto esplicitamente di chiedere il consenso agli utenti prima di venire in possesso di dati considerati sensibili. “Nel 2015 abbiamo scoperto da un’inchiesta giornalistica del Guardian che Kogan aveva condiviso i dati in suo possesso con Cambridge Analytica. Abbiamo immediatamente provveduto a rimuovere tutte le app in capo a Kogan dalla nostra piattaforma e abbiamo chiesto sia a Kogan sia a Cambridge Analytica di provvedere a cancellare tutti i dati impropriamente acquisito. E ci avevano assicurato di aver provveduto”.

Ma a distanza di tre anni scoppia il caso e nonostante le rassicurazioni di Cambridge Analytica la fuga di dati è un fatto incontrovertibile: “Stiamo lavorando con i regolatori per capire cosa sia successo”, sottolinea Zuckerberg che annuncia azioni forti contro gli sviluppatori che non rispetteranno le regole e non saranno conformi alle policy. “Io ho creato Facebook e sono io quindi il responsabile di ciò che accade sulla piattaforma. E farò di tutto per proteggere la community. Non potrò cambiare ciò che è accaduto ma impareremo da questa esperienza per rendere più sicura la piattaforma”. In conclusione i ringraziamenti agli utenti che continuano a credere nella “missione e nel nostro lavoro” e la promessa di un “servizio migliore”.

Che cosa Facebook riuscirà a garantire è ora tutto da vedere. E non sarà facile capire quanti e quali dati sono fuoriusciti dalla piattaforma a scopi illeciti e chi sia in possesso di informazioni sensibili in grado di orientare le scelte dei consumatori e di “manipolarle” in maniera fraudolenta. Basteranno le scuse di Zuckerberg a riabilitare la fiducia da parte dei consumatori e a evitare il fuggi fuggi “sponsorizzato” dai competitor e dai cittadini delusi e indignati su quanto accaduto. Il caso Cambridge Analytica potrebbe essere solo la punta dell’iceberg e non è escluso che altri “casi” si abbattano sulla piattaforma. Siamo alle porte di una rivoluzione anti-social?

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