Occorre sborsare un milione di dollari per farne parte, ma la lobby della Silicon Valley fondata da Mark Zuckerberg di Facebook suscita qualche controversia non solo per la sua esclusiva quota di ingresso. Forte della partecipazione di alcuni dei colossi della tecnologia americana, il gruppo di pressione si fa anche notare per qualche importante esclusione (almeno per ora), come quella di Google, e ha sollevato le critiche di altre aziende high-tech perché costituirebbe un’indebita interferenza nella politica che rischia di attrarre sul settore pubblicità negativa.
La lobby, che secondo le anticipazioni del Financial Times sarà formalmente lanciata nei prossimi giorni, sarebbe il primo grande “super-Pac”, ovvero gruppo di azione politica, dell’industria della tecnologia americana. Fonti vicine al gruppo dicono che nelle sue casse ci sono già 20-25 milioni di seed money, il che ne farebbe la lobby più ricca della Silicon Valley, ma l’obiettivo è di raccogliere ancora fondi fino a raddoppiare il patrimonio.
I temi su cui la lobby intende esercitare pressione sul mondo della politica sono già definiti e il primo è la riforma dell’immigrazione per accrescere il flusso di ingegneri e lavoratori specializzati che arrivano negli Stati Uniti. Il gruppo ha conquistato subito il consenso dei top manager delle aziende hi-tech di nuova generazione, come Reid Hoffman di LinkedIn e Mark Pincus di Zynga, mentre aziende tecnologiche che hanno una più lunga tradizione nell’azione di lobby a Washington, come Cisco, Oracle e Intel, o colossi Internet di più vecchia data, come Google, non ne fanno ancora parte.
Secondo i critici, però, la lobby rischia di veicolare un’immagine negativa, fatta al tempo stesso di ingenuità e arroganza, dell’industria hitech, senza contare che la quota di ingresso estremamente elevata concentra l’attenzione sull’enorme ricchezza di chi ne fa parte, portando a credere che i soldi comprino il potere e forse le leggi.
Tra l’altro, Camera dei Rappresentanti e Senato americani stanno già definendo le nuove proposte di legge sull’immigrazione e lo spazio rimasto per esercitare influenza è ben poco. La bozza su cui lavora il Senato cerca di trovare una via per dare la cittadinanza agli 11 milioni di immigrati entrati illegalmente negli Stati Uniti, ma prevede anche un inasprimento dei controlli alle frontiere. Verrebbe riformato il sistema di concessione dei permessi per i lavoratori senza qualifica, mentre aumenterebbe di molto il numero di visti a disposizione per i lavoratori altamente specializzati in scienze, tecnologia, ingegneria e matematica.
In questo modo il Senato Usa sta già venendo incontro alle esigenze manifestate dalle aziende tecnologiche, come Microsoft e Intel, ma ovviamente il tema dell’immigrazione va ben oltre le problematiche dell’industria hitech.
Da parte loro i sostenitori della lobby creata da Zuckerberg pensano che l’impatto sulle grandi tematiche nazionali sarà forte e immediato, sia perché il gruppo ha una dotazione finanziaria imponente sia per lo staff che ha assunto: Jim Manley, ex assistente di Harry Reid, capo Democratico al Senato, ha detto che Zuckerberg è stato molto abile e intelligente a chiamare a lavorare nella sua lobby persone che arrivano da entrambi gli schieramenti politici. L’intenzione della lobby sarebbe non tanto di influenzare il contenuto delle leggi, secondo Manley, ma di convincere i legislatori a sostenere una legge piuttosto che un’altra durante l’iter parlamentare.