Manifattura 4.0 priorità strategica per rilanciare l’Italia. Alberto Dal Poz, presidente di Federmeccanica, racconta a CorCom cosa si aspetta dal prossimo governo sul fronte della politica industriale.
Il governo Gentiloni ha rilanciato sulla smart manufacturing, passando da Industria 4.0 a Impresa 4.0. Come giudica questa scelta?
Non solo è stata una scelta opportuna, ma direi anche necessaria. Quello che serve adesso è che le tecnologie abiltanti la manifattura 4.0 – quindi quelle più evolute – vadano ad integrarsi con quelle più “tradizionali” che ancora funzionano nella fabbrica. Il piano Calenda, nella sua prima fase, ha avuto lo straordinario pregio di far volare gli ordinativi delle macchine utensili (i dati Ucimu parlando di un balzo del 21,5% ndr), ma ora è arrivato il momento – questo il governo lo ha ben compreso – di avviare un percorso di “rinnovamento 4.0” che vada oltre l’acquisto di macchinari che metta al centro anche la cultura digitale e le competenze.
Questo apre una riflessione profonda sul lavoro e sulla sua organizzazione.
Il lavoro è un tema centrale nella rivoluzione 4.0. E’ chiaro che comprare macchinari ad alto contenuto di tecnologia è un passo imprescindibile. Ma poi chi è che li fa funzionare? Chi è che studia e comprende i bisogni del mercato e delle filiere per realizzare prodotti competitivi sul mercato? Questo è quello che io chiamo “l’ultimo miglio” della quarta rivoluzione industriale: un percorso quasi tutto interno alla fabbrica dove l’imprenditore si mette in gioco sul fronte della formazione, con investimenti mirati. Si tratta di un passaggio cruciale in grado di rilanciare il comparto manifatturiero e aumentare l’occupazione, soprattutto quella giovanile. Per sensibilizzare gli imprenditori, aumentare la conoscenza, la consapevolezza e la propensione a investire in competenze abilitanti, Federmeccanica ha promosso “Ricomincio da…4”, un progetto di In-Formazione online, rivolto a manager e imprenditori interessati sulle nuove tecnologie, le competenze, i modelli organizzativi innovativi e gli strumenti finanziari a disposizione.
Lei parla di un percorso interno alla fabbrica. Però sul fronte competenze c’è anche una responsabilità del sistema della formazione che sembra non rispondere alle richieste delle aziende: secondo uno studio Anpal-Unioncamere in un caso su 5 le imprese hanno difficoltà a trovare un candidato idoneo, soprattutto nella meccanica avanzata. Che ruolo possono svolgere le imprese per cambiare passo?
Bisogna presidiare il sistema della formazione a più livelli. Federmeccanica crede fortemente nella valenza formativa dell’alternanza scuola-lavoro, che rappresenta una risorsa per i giovani, che possono acquisire quelle competenze trasversali e tecniche richieste dal mercato del lavoro; ma è un valore aggiunto anche per scuole e aziende, che hanno l’occasione per innovare la didattica e il fare impresa. Su questo fronte, il nostro progetto Traineeship ha sperimentato un modello di alternanza scuola lavoro basato sulla progettazione e valutazione congiunta dei percorsi formativi. Le finalità del progetto sono la diffusione e il rafforzamento dell’alternanza scuola-lavoro, in modo tale che questa diventi una vera e propria materia curriculare, rivolta a tutti gli studenti. Miriamo ad aumentare il livello di employability dei giovani, a riconoscere l’equivalenza tra formazione school-based e work-based e allineare i fabbisogni di domanda e offerta di lavoro.
Sul fronte formazione scolastica e universitaria, invece?
Vanno assolutamente rilanciati gli istituti tecnici superiori che “sfornano” periti di alto livello di cui la manifattura 4.0 ha urgente bisogno. Nei percorsi di formazioni è poi necessario “studiare” l’integrazione e lo scambio possibile tra le filiere: in pratica mettere in risalto i punti in comune, ad esempio, tra automotive e aerospazio e ancora tra agrifood e automotive. La manifattura 4.0 è infatti sempre più il frutto di tecnologie, prima facenti parte di settori diversi, ma che oggi vanno messe a fattor comune. C’è poi tutto un lavoro “pubblicitario” da fare.
In che senso?
Le aziende manifatturiere devono raccontare, pubblicizzare e sponsorizzare la grande trasformazione che la fabbrica ha subito in questi anni. Fabbrica che diventa sempre più un “laboratorio” robotizzato, con elevati standard di pulizia e sicurezza e dove l’ergonomia del lavoro è la bussola. Bisogna accantonare l’immagine della fabbrica sporca e polverosa: la dobbiamo rendere “appealing” per i giovani perché è da lì che l’Italia potrà ripartire.
Finalmente è stato varato il decreto che dà vita ai competence center. Ci sono però alcune critiche: Adapt, ad esempio, critica l’impostazione strettamente tecnologista esclusivamente associata alla digitalizzazione delle filiere industriali, senza dare spazio ai cambiamenti sull’organizzazione del lavoro. Lei che idea si è fatto?
I competence center funzioneranno se faranno ricerca applicata e trasferimento tecnologico. Ma attenzione: si deve mettere al centro il concetto di “filiera” che dà il polso di quali sono davvero i bisogni di un territorio dove operano imprese di diverse dimensione e con esigenze diverse. A queste esigenze deve rispondere il lavoro dei centri, senza imposizioni dall’alto né dal punto di vista della tecnologia né nei processi. I competence centre devono “sposare” filiere specifiche.
L’Italia si avvicina all’appuntamento elettorale. Cosa chiedono le aziende del manifatturiero alla politica al governo che verrà?
A Federmeccanica non interessa chi vincerà, ma che ci sia un vincitore. Perché se al Paese è garantita stabilità si potrà continuare con le riforme che questo governo è riuscito, seppure con grandi difficoltà, a mettere in campo. Il piano Calenda ne è un esempio ed è su questa strada che bisogna continuare a camminare. All’Italia serve una politica industriale perché il nostro Paese è diventato grande grazie alla manifattura ed è sulla manifattura – motore di ricerca, occupazione e produttività – che bisogna rilanciare.