“E’ da 5 anni che l’ordine del giorno della Commissione è rimasto sostanzialmente lo stesso: costruire un mercato unico digitale. Ora è giunto il momento di azioni concrete”. Marietje Shaake, una delle fondatrici dell’Intregruppo sull’Agenda Digitale nel Parlamento Europeo e parlamentare dell’Alde, quando le chiedo cosa ha fatto dal 2009, da quando cioè è presente nel Parlamento e cosa ha concretamente realizzato in questi anni, parte all’attacco.
“Nel 2009 molti miei colleghi quando sentivano la parola Cookies pensavano si parlasse di Snack, non conoscevano la differenza tra un server e un cameriere, ora c’è più comprensione. Questo è il frutto del lavoro di anni in cui ho contribuito a creare conoscenza su temi come la crittografia, netneutrality o copyright – dice Shaake – Nel 2012 non abbiamo ratificato l’Acta (Anti-Counterfeiting Trade Agreement); in parallelo, gli eventi che vanno dalle rivolte arabe, la pubblicazione dei dispacci diplomatici trapelati attraverso WikiLeaks, le rivelazioni Edward Snowden sull’Nsa, così come una maggiore attenzione per la sicurezza in ambiente digitale, hanno aumentato la consapevolezza delle persone. Tuttavia, quando ascolto la Commissione europea che sottolinea la necessità di costruire un mercato unico digitale, è chiaro che l’ordine del giorno è rimasto sostanzialmente lo stesso nel corso degli ultimi 5 anni. E giunto il momento l’adozione di azioni concrete”.
Qual è quindi la principale differenza tra la vecchia legislazione europea e quella che è appena iniziata, in termini di agenda digitale?
Abbiamo istituito un intergruppo, che riunisce circa 80 deputati di diversi paesi e di partiti politici a lavorare sull’agenda digitale per l’Europa. Generalmente sembra esserci una maggiore consapevolezza, ma la maggior parte lavoro legislativo deve ancora iniziare. Il parlamento deve spingere Consiglio e la Commissione a far adottare misure audaci. Nella votazione sul mercato unico delle telecomunicazioni, prima delle elezioni, è stato chiaro che il Parlamento è ambizioso. Vogliamo la fine di roaming non appena possibile, e crediamo che internet aperto necessiti di una protezione giuridica di net neutrality. I cittadini non capiscono perché il Consiglio vuole ritardare la fine della tariffe di roaming.
Questi gli aspetti politici, ma lei pensa che l’attuazione dell’Agenda digitale ha in qualche modo sofferto per la mancanza investimenti? Se sì, sarà il piano di investimenti Junker in grado di liberare risorse? Se no, quali sono i problemi che lei vede?
Le start-up non lottano abbastanza per attrarre capitali, mentre vediamo che sono proprio queste che potrebbero creare posti di lavoro. Inoltre, ci sono altre sfide da affrontare per favorire imprenditorialità, come il cambio di leggi sull’immigrazione, troppo restrittive e non in grado di attrarre talenti; oppure la modifica di leggi sui fallimenti che non consentono agli imprenditori di rimettersi in piedi, se non dopo anni. L’idea che l’imprenditorialità comporti un rischio, sembra essere un concetto meno accettato, rispetto agli Stati Uniti. Credo che più di un piano di investimenti, abbiamo bisogno di seri passi verso un mercato unico digitale, in modo che la crescita economica e l’innovazione attiri investitori in Europa.
Come lei sa ogni sei mesi cambia la presidenza del Consiglio dell’Unione europea, l’ultima è stata italiana ed ora è il turno della Lettonia, ha avuto modo di vedere alcun effetto sull’agenda digitale da quest’ultima presidenza? Sarà il nuovo semestre efficace in qualche modo?
Sotto la Presidenza italiana abbiamo visto alcune proposte preoccupanti sul pacchetto telecomunicazioni. La presidenza lettone ha già proposto un compromesso che indebolirebbe la posizione del PE. Io temo la posizione di molti Stati membri, in quanto molto vicini ai player storici delle Tlc. Alcuni di loro sono ancora in parte di proprietà dello Stato: invece di aggrapparsi a questi legami del passato, abbiamo bisogno di fare spazio alla crescita nei settori del futuro.