L'INTERVENTO

Banche e fintech, è tempo di alleanze in nome del Paese?

Disponibilità di capitali da una parte e di tecnologia e automazione dall’altra. Mettere a fattor comune le rispettive competenze potrebbe rappresentare la chiave per sostenere Pmi e famiglie in questa fase di emergenza. L’analisi dell’avvocato Umberto Piattelli

Pubblicato il 25 Mar 2020

Umberto Piattelli

Avvocato partner dello Studio Legale Osborne Clarke

fintech

L’equity crowdfunding ha raccolto 130 milioni di euro dall’avvio della propria attività in Italia (dato rilevato al 7 febbraio 2020) con una crescita che è andata dai 37 milioni del 2018 ai 64,5 milioni del 209. Il lending crowdfunding nelle sue molteplici fattispecie (social lending, corporate lending e invoice trading) ha superato il miliardo di euro di raccolta nel corso dell’ultimo anno.

Molte piattaforme di lending crowdfunding (in Italia) hanno attivato in automatico meccanismi di moratoria per consentire ai soggetti finanziati di fare fronte all’emergenza legata al covid-19, concedendo la sospensione del pagamento delle rate (in parte capitale) senza attendere provvedimenti del governo e semplicemente facendo censimenti online tra i prestatori che hanno risposto con grande senso di responsabilità a favore di tali proposte.

Inoltre si tratta di operatori che hanno fatto dell’automatizzazione dei processi e della tecnologia il loro punto di forza e che quindi non hanno problemi a operare con sistemi di smart working e non richiedono alle parti di incontrarsi fisicamente, in quanto tutti i contratti sono sottoscritti per via telematica o con l’utilizzo della firma digitale.

Le piattaforme che offrono sistemi di finanza alternativa, insomma, sono certamente in grado di continuare a operare senza particolari problemi in un contesto difficile come quello che stiamo vivendo e continuano ad essere efficienti, rapide nelle risposte e di facile accesso per chiunque disponga di un pc, un tablet o uno smartphone.

E pensare che tutta questa automatizzazione dei processi di matching tra domanda e offerta e di standardizzazione della documentazione contrattuale è stata messa in discussione dalla Banca d’Italia nel contesto della propria comunicazione sul social lending (cfr. Disposizioni per la raccolta del risparmio dei soggetti diversi dalle banche), anche se tale autorità ritiene che “la diffusione del P2P Lending possa contribuire alla riduzione del costo dell’intermediazione finanziaria e migliorare le condizioni finanziarie delle famiglie e delle Pmi aumentando l’offerta di credito a loro diretta”.

Nel frattempo anche le istituzioni comunitarie hanno maturato la convinzione che la materia necessiti di essere regolata a livello comunitario per evitare l’insorgere di arbitraggi normativi e così la Commissione ha presentato una proposta di regolamento in materia di crowdfunding, collocata nel più ampio piano di azione sul FinTech, che si propone di introdurre nell’Ue un regime opzionale a cui i gestori di piattaforme che consentono l’erogazione di prestiti o la raccolta di capitali online potranno scegliere di aderire, qualora vogliano operare in tutta l’Unione europea, per raccogliere capitali fino al limite di 8 milioni di euro per singola operazione.

Per quanto riguarda invece la raccolta del capitale di rischio, i fondi di venture capital e di private equity sembra abbiano raccolto poco più di 1,1 miliardi di euro nell’ultimo anno (fonte: Report 2019: la finanza alternativa per la Pmi in Italia, del Politecnico di Milano) e se pensiamo che molti fondi, dopo il 2009 hanno chiuso i loro uffici in Italia o hanno sensibilmente ridotto la loro operatività a livello europeo/mondiale, dobbiamo necessariamente ipotizzare che non saranno particolarmente attivi nel prossimo futuro, se il ciclo economico dovesse risentire tropo della situazione causata dalla diffusione del covid-19.

Anche in questo caso ci aspettiamo che il ruolo degli operatori del Fintech possa finalmente emergere, attraverso l’utilizzo di Initial Coin Offering o Security Tokens Offering, lanciate attraverso l’utilizzo di valute virtuali o tokens, siano essi security tokens, utility tokens o currency tokens, operazioni di raccolta di capitali delle quali in Italia si è fatto un gran parlare, troppo spesso con scarsa cognizione di causa, senza però farne uso nelle maniere ritenute più appropriate e consentite dalla legge.

In questo contesto cosa succederà agli istituti bancari? E’ difficile dirlo perché molto dipenderà sia dal supporto che riceveranno dalle banche centrali, sia dalla loro effettiva capacità/possibilità di trasferire alle imprese e alle famiglie la liquidità necessaria per sostenere il riavvio delle attività in maniera ordinata e senza che ciò provochi ulteriori problemi; certo non possiamo immaginare che quanto accaduto non abbia conseguenze per il sistema bancario che era già alle prese con una difficile crisi di identità causata dall’avvento della PSD2 (la direttiva che disciplina i servizi di pagamento) e l’open banking.

Vista la situazione sembrerebbe logico attendersi che banche e operatori di finanza alternativa si uniscano per ottimizzare le rispettive competenze, disponibilità di capitali da una parte e disponibilità di tecnologia e automazione dall’altra, per fornire direttamente alle Pmi, alle micro-imprese e alle famiglie la liquidità necessaria al minor costo possibile. Ma non diamolo affatto per scontato, visto che ad oggi in Italia ed in molti paesi dell’Unione Europea, sono ancora rarissimi i casi in cui gli operatori del settore bancario hanno cominciato a collaborare con gli operatori del FinTech che gestiscono piattaforme di finanza alternativa con queste finalità.

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