Gli Stati Uniti sorpassano per la prima volta la Cina come destinazione numero uno per i miner di bitcoin. Gli effetti del ban cinese contro le criptovalute consolidano un trend osservato fin da inizio anno e registrato dai dati della Cambridge University: a luglio il 35,4% del bitcoin hashrate – ovvero la potenza di calcolo collettiva dei minatori della criptovaluta – risiede negli Stati Uniti, con un incremento del 428% rispetto a settembre 2020.
Nel 2020 la Cina era in assoluto la destinazione principale dei miner di bitcoin: a luglio di un anno fa il Paese del dragone deteneva un hashrate del 67%, secondo il Cambridge Centre for alternative finance. Ma il giro di vite di Pechino contro la finanza virtuale ha determinato quella che è stata definita dagli analisti come la “great mining migration”.
Il ban di Pechino contro le criptovalute e la fuga dei miner
Il mese scorso la Banca centrale di Pechino ha messo al bando le valute virtuali affermando che “non hanno lo stesso status giuridico della moneta in corso legale e non possono essere distribuite sul mercato come moneta”. La People’s Bank of China ha anche definitoscambi e transazioni in valuta virtuale “attività finanziarie illegali e sono severamente vietate”.
Per la Cina le valute virtuali “si sono diffuse sconvolgendo l’ordine economico e finanziario, alimentando il riciclaggio di denaro sporco, la raccolta illegale di fondi, la frode, gli schemi piramidali e altre attività illegali e criminali”.
Ma uno studio pubblicato ad aprile ha mostrato che l’attività dell’estrazione di bitcoin è talmente energivora da minacciare gli obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2 della Cina: un altro motivo per Pechino per scoraggiare il mining.
Il Texas è diventato l’eldorado dei minatori di bitcoin
Ci sono alcuni fattori chiave che attraggono i miner negli Stati Uniti. Tra questi i bassi costi dell’energia elettrica nel Texas e, in generale, la disponibilità di fonti di energia rinnovabile in numerosi stati, come Washington, New York e lo stesso Texas. Mantenere i costi competitivi e prestare attenzione agli impatti ambientali sono elementi sempre più importanti anche per l’attività di mining.
Il ricorso a elettricità generata da fonti green getta una luce più positiva sul mondo dei bitcoin e delle criptovalute in generale, spesso criticate per l’enorme impatto ambientale del calcolo computazionale richiesto.
“Il mining è un’attività che risente delle fluttuazioni dei prezzi dell’energia”, sottolinea il ceo di Blocstream, Adam Back. Senza contare l’impatto dei temi Esg (ambiente, sociale e corporate governance) sulle strategie aziendali e sulla scelta degli investimenti da parte delle società finanziarie.
Il Texas offre anche un impianto normativo favorevole alle criptovalute e infrastrutture per l’hosting. “Se si cerca di trasferire centinaia di milioni di dollari di miner fuori dalla Cina la priorità è trovare stabilità geografica, politica e giuridica”, osserva Darin Feinstein, co-fondatore do Core Scientific.
A prescindere dal giro di vite della Cina sulle criptovalute, gli Stati Uniti hanno costruito negli scorsi anni le condizioni ideali per attrarre l’attività di mining dei bitcoin, si legge in un’analisi di Cnbc.com. In particolare, negli ultimi 18 mesi, in diversi Stati Usa (soprattutto in Texas) alcune società delle valute digitali hanno investito per portare negli States attrezzature per il mining e costruire un’adeguata infrastruttura di hosting. La società Foundry, per esempio, ha aiutato a portare in Nord America tecnologie per il mining del valore di oltre 300 milioni di dollari.
Il Kazakhstan è il secondo mercato mondiale per il mining
Gli Usa, però, non hanno un dominio di mercato del bitcoin mining paragonabile a quello raggiunto dalla Cina. Altri mercati competono con l’America per attrarre i minatori delle critpovalute e in cima c’è il Kazakhstan che detiene il 18,1% di share del mercato globale del bitcoin mining. Il Kazakhstan è secondo solo agli Stati Uniti in questo momento e la sua attrattiva è rappresentata dall’ampia disponibilità di energia a basso costo.
Ma non è energia verde: l’elettricità è per lo più prodotta in centrali a carbone. Per questo gli analisti pensano che il Paese centro-asiatico sia solo una sosta nella grande migrazione dei miner verso gli Usa – anche perché il governo kazaco si appresta, nel 2022, ad aumentare le tasse sul crypto-mining.