IL CASO

Bitcoin in crisi, bruciati 2 miliardi in tre giorni

Le perdite sono l’effetto della spaccatura all’interno della comunità dei miner. Gli “scissionisti” creano Unilimited, una nuova versione del software capace di aumentare la velocità di pagamento. Ma pesa anche la bocciatura della Sec alla creazione di un fondo di investimento per la criptomoneta

Pubblicato il 22 Mar 2017

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Bitcoin si sta spaccando. E’ per questo che ha perso 400 dollari in 3 giorni e bruciato 2 miliardi tra il 18 e il 20 marzo. Il suo valore è prima sceso da 1.290 dollari a 900 per poi risalire intorno a quota mille. Molti commentatori sui giornali internazionali hanno pensato che il crollo fosse dovuto alla bocciatura della Consob americana, la Sec, che ha vietato la creazione di un fondo di investimento in bitcoin.

In realtà quello che emerge in questi giorni è che si sta allargando una frattura nella comunità persone che esaminano e approvano le transazioni in criptomoneta in tutto il mondo. Questa frattura la chiamano “the fork”, la forchetta. O forse sarebbe meglio tradurla come biforcazione, scissione. I protagonisti di questa scissione interna a Bitcoin si chiamano “miners”, minatori. Utenti che usano computer potentissimi per approvare le transazioni in criptomoneta. Lo fanno in cambio di percentuali minime, che sommate per enne volte consentono loro un guadagno. E lo fanno attraverso quelli che vengono chiamati i “nodi”. Se ne contano circa 5.500 ma non vuol dire necessariamente che dietro ogni nodo ci sia un minatore, o viceversa (uno dei tanti aspetti oscuri della valuta, di cui ad oggi non si sa chi l’abbia creata, come, e dove). Di questi, pare che l’11 per cento si sia dichiarato “scissionista”: uno su 10.

Ma perché Bitcoin si sta scindendo? Il motivo pare riguardi la velocità delle transazioni, molto rallentate nelle ultime settimane. Di circa 4 volte rispetto a sei mesi fa. Oggi, scrive Bloomberg, l’intera rete dei nodi (i libri contabili digitali di Bitcoin) è capace di validare sette transazioni ogni secondo. Per avere un metro di paragone, il network Visa ne fa 24mila ogni secondo. Molti dei “miners” di Bitcoin pensano sia una cosa buona. La moneta si affida a una rete di volontari e i costi operativi delle loro transazioni è giusto mantenerle il più bassi possibile. Ma non tutti la pensano così. Uno ogni dieci ad oggi. Per questo gli scissionisti hanno creato una seconda moneta, Bitcoin Unlimited. Una nuova versione del software capace di creare “nodi” più grandi, la cui velocità di approvazione delle transazioni può essere molto superiore. Per loro la vera forza di Bitcoin è la velocità delle transazioni. E in questo si differenziano dal gruppo originario, che ritiene nella rete delle persone la vera forza e il vero valore della criptomoneta.

Bitcoin Unlimited vuole aumentare la dimensione dei nodi per permettere di raggruppare più operazioni in uno stesso blocco. Chi li critica, crede che l’aumento della dimensione dei nodi possa mettere in discussione la sicurezza delle transazioni e accentrare il potere di validare le transazioni nelle mani di pochi che possono permettersi supercomputer adatti a farlo. Potrebbero convincere il 50% dei miners. I primi miners hanno cominciato a lavorare a Bitcoin Unlimited a dicembre 2015. Da allora allo scorso ottobre sono rimasti un numero esiguo, per crescere vistosamente a settembre 2016 ed “esplodere” nelle ultime settimane.

Finora Bitcoin ha resistito. Per riuscire ad essere una seria minaccia, Unlimited dovrebbe aumentare il suo numero di portafogli Bitcoin, di scambi, e aumentare la propria credibilità. Cosa non facile. Gli utilizzatori di un servizio come Bitcoin potrebbero essere piuttosto restii a cambiare “moneta”. Se dovesse raggiungere un numero cospicuo di scambi e transazioni, potrebbe verificarsi una situazione per cui Bitcoin potrebbe dividersi in due. Due monete diverse, gestite da due diverse reti blockchain. Funzionerebbero entrambe, almeno fino a quando ci saranno nodi che accettano e validano le transazioni. Ma quanto varranno è difficile dirlo. Per ora Bitcoin ha raggiunto picchi di valutazione di 1.300 dollari. La sola ipotesi della forchetta gli ha fatto perdere 400 dollari, per poi recuperarne 100. Difficile ipotizzare quanto resisterà alla scissione. Per gli esperti questa di fatto è la peggiore crisi di sempre di Bitcoin.

Giacomo Zucco, uno dei massimi esperti di Bitcoin in Italia e amministratore delegato di Blockchain Lab, spiega la causa della crisi. “Il motivo è cambiare unilateralmente le regole di funzionamento di Bitcoin. – spiega all’Agi l’esperto – In realtà è un attacco che vede addirittura favorevole una minoranza degli utenti, in particolare coloro che non hanno conoscenze tecniche e lo vedono più che altro come un sistema “veloce ed economico” per transare rapidamente piccole quantita’ di valore”.

Una cosa è certa anche per Zucco: la bocciatura da parte della Sec americana al fondo di investimento in Bitcoin valutato in queste settimane non c’entra con la crisi né con il crollo della moneta. “E’ una storia molto più vecchia. Bitcoin Unlimited è solo il terzo tentativo di modificare le regole di Bitcoin senza consenso di tutti gli utenti, dopo il fallimento di altri due tentativi in questi anni – spiega Zucco – ma a differenza del passato, questa scissione è supportata da una porzione molto rilevante (addirittura alcuni pensano oltre il 40%) di potere di calcolo della rete”. Molti di questi riconducibili a miners cinesi. Si tratta di due fazioni opposte. Con valori molto diversi tra loro: “Il principale valore in campo per la fazione conservatrice è l’immutabilità – spiega ancora – quindi l’indipendenza da parte di forze esterne, del protocollo Bitcoin. Tutti gli attuali sviluppatori Bitcoin e buona parte degli utenti ritengono che una modifica alle regole di Bitcoin, buona o cattiva che sia nel merito, debba sempre avvenire plebiscitariamente, con il consenso attivo di tutte le parti in causa, lentamente, gradualmente, dopo anni di studi, test, dibattiti pubblici, evidenze. Questo perché se Bitcoin fosse facile da modificare sotto pressione di minoranze organizzate e rumorose, oppure sull’onda di una campagna emotiva, o per motivi futili, diventerebbe anche facilissimo da manipolare da parte di poteri esterni. E visto che Bitcoin è nato precisamente per sfidare i più forti poteri finanziari e politici esistenti al mondo (incluse agenzie governative, esattori, banche centrali), la resistenza a cambiamenti di incerta natura e’ una delle sue caratteristiche fondamentali”, riflette Zucco.

La fazione che vuole dividersi però vuole transazioni più veloci, quindi modificare una parte di infrastruttura: “Le transazioni Bitcoin si basano su una struttura detta ‘blocco’: se questo blocco fosse piccolissimo, tutti potrebbero verificare le transazioni in modo indipendente ma solo pochi potrebbero effettuarle. Se questo blocco fosse grandissimo, tutti potrebbero fare transazioni in modo relativamente economico (costi fissi di qualche centesimo di euro, ndr) e veloce (tempi di attesa di qualche decina di minuti, ndr), ma solo pochi potrebbero verificarle in modo indipendente perché servirebbero i grossi datacenter dei giganti dell’informatica, da cui gli utenti diventerebbero di fatto dipendenti, eliminando il senso di Bitcoin stesso”, continua Zucco.

Quindi il dilemma è: rimanere piccoli o decentrati o creare libri contabili più potenti, ma col rischio che si centralizzi tutto e si ceda alla filosofia stessa di Bitcoin, nata per essere orizzontale e decentrata? “Attualmente, un 10% circa dei nodi Bitcoin sembrerebbe far girare il software modificato, Bitcoin Unlimited, ma è una stima incerta e difficile”. Di fatto Zucco conferma che per Bitcoin è una crisi. E profonda. “Rappresenta il primo caso di attacco diretto da parte degli stessi miner, oltre che il massimo storico di virulenza della spaccatura ideologica tra gli utenti”. Ma soprattutto, “il motivo per cui questo attacco diretto è stato possibile, ovvero la concentrazione di tanto potere di calcolo nelle mani di un solo miner e di alcuni suoi vassalli rappresenta un problema importante per il futuro di Bitcoin, perché – conclude – ne contraddice la sua natura intrinseca, di una rete fatta di pari, di persone e di computer. Bitcoin è ancora un esperimento, potrebbe fallire, e questa crisi potrebbe rappresentarne il fallimento, anche se la cosa mi sembra decisamente poco probabile”.

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