Il boom del bicoin infiamma gli entusiasmi di chi crede nella criptovaluta come strumento di una nuova era della finanza in cui le operazioni sono automatizzate al massimo, decentralizzate e democratizzate. Il prezzo raggiunto dalla moneta digitale più famosa – 7.600 dollari – l’annuncio del gruppo CME che offrirà futures anche in bitcoin e la decisione del governo giapponese di considerare legittimi gli scambi in criptovaluta sulle piattaforme finanziare sembrano confermare l’interesse e l’adozione crescenti. Un commento sul Financial Times getta però un’ombra su tanto scintillio: una gestione digitalizzata della moneta su scala globale quanto costa in termini di energia? Alimentare le transazioni finanziarie su Internet potrebbe consumare elettricità quanto l’intera Svizzera o i Paesi Bassi. Che ne sarà degli sforzi per ridurre le emissioni inquinanti e degli accordi di Parigi sul clima?
Si tratta dunque di una sfida alla sostenibilità posta dal bitcoin non in termini finanziari o sociali, bensì ambientali: uno studio del sito Motherboard stima che ogni singola transazione con bitcoin richiede 215 kilowattora di elettricità per essere processata, tanto quanto consuma una famiglia americana in una settimana intera.
La commentatrice racconta di aver chiesto a una platea di 50 studenti quanti conoscessero i bitcoin: quasi tutti hanno alzato la mano. Un terzo li aveva anche comprati, ma solo uno studente li aveva spesi. Questo vuol dire che il bitcoin vale così tanto che non viene usato per acquistare beni o servizi ma come forma di risparmio: si accumulano bitcoin per avere un sostanzioso ritorno. E’ la conferma della legge di Gresham “la moneta cattiva scaccia quella buona”, ovvero la valuta più preziosa sparisce dalla circolazione perché viene accumulata come investimento, scrive l’analista del FT.
Inoltre, le commissioni per gli scambi in bitcoin sono alte – da 3 a 6 dollari a transazione – e questo rende la criptovaluta poco conveniente per l’utilizzo in piccole spese: un ulteriore incentivo a conservarla nel portafoglio dei beni che fruttano. “Più il bitcoin diventa utile come strumento di scambio, più costoso è il suo mantenimento e energivora la sua gestione”, si legge nel commento firmato da Izabella Kaminska nella rubrica “Finance” del FT. “E’ una situazione imbarazzante per gli investitori, che oggi sono sempre più attenti alle implicazioni ambientali, sociali e di corporate governance delle loro decisioni….Se al consumo di elettricità si uniscono i timori di alcuni sulla opacità della governance del bitcoin, sul potenziale utilizzo per cyber crimini o operazioni sul mercato nero, ecco che dal punto di vista di chi vuole fare investimenti responsabili le criptovalute possono suscitare perplessità”, conclude la commentatrice.
L’intervento del Financial Times si unisce alla schiera delle voci critiche nei confronti delle monete digitali. I sostenitori fanno notare però che più aumenteranno le transazioni con criptovalute, più diminuiranno quelle elaborate dagli istituti finanziari tradizionali e quindi non è detto che il consumo complessivo di energia elettrica cresca. Quanto alle accuse di opacità, i sostenitori del fintech ritengono che strumenti automatizzati sono la base per una maggiore trasparenza.
Lo stesso FT riconosce che “alcuni player tradizionali potrebbero avere interesse a mantenere il sistema del bitcoin inefficiente per preservare il proprio potere acquisito”. Il fenomeno della criptovaluta è insomma complesso e come tutte le tecnologie innovative ha sostenitori e detrattori. Ma diverse banche centrali di Europa e Asia stanno già studiando le valute digitali, magari con tecnologie proprietarie che garantiscono migliore trasparenza, e lo scorso giugno il Fondo monetario internazionale ha invitato le banche a non trascurare il trend, perché le rapide innovazioni nella tecnologia digitale stanno già trasformando il mercato finanziario, creando opportunità e sfide per consumatori, service providers e regolatori. Insomma, che si sia pro o contro i bitcoin, il cambiamento è già partito: meglio capirlo e gestirlo che negarlo.