I DATI

Agrifood, il 34% delle startup innovative punta sulla sostenibilità

Secondo i dati dell’Osservatorio del Politecnico di Milano, è dall’innovazione che arriva una risposta concreta alla crisi alimentare: il 30% delle soluzioni mira a ottimizzare l’utilizzo delle risorse. Si lavora anche alla tutela degli ecosistemi

Pubblicato il 28 Set 2022

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Di 7.337 startup agrifood censite nel quinquennio tra il 2017 e il 2021 a livello mondiale, il 34% (2.527 startup) persegue uno o più degli obiettivi di sviluppo sostenibile inclusi nell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. Lo afferma la nuova ricerca dell’Osservatorio Food Sustainability della School of Management del Politecnico di Milano, presentata durante il convegno “Sicurezza alimentare e sostenibilità della filiera agrifood: a che punto siamo?”.

L’indagine mette in luce che le soluzioni sviluppate dalle startup agrifood mirano innanzitutto a ottimizzare l’utilizzo delle risorse (Sdg 12 target 12.2, 30%); inoltre, promuovono la tutela degli ecosistemi terresti e d’acqua dolce (Sdg 15 target 15.1, 21%). A seguire, le startup investono su soluzioni per sensibilizzare e incentivare l’adozione di stili di vita e pratiche sostenibili (Sdg 12 target 12.8, 17%), aumentare la produttività e la capacità di resilienza dei raccolti ai cambiamenti climatici (Sdg 2 target 2.4, 17%) e favorire il turismo sostenibile e le produzioni locali (Sdg 8 target 8.9, 16%). In misura più modesta le giovani imprese puntano a tutelare i piccoli produttori (Sdg 2 target 2.3, 12%), ridurre eccedenze e sprechi alimentari lungo la filiera (Sdg 12 target 12.3, 11%), assicurare il lavoro a tutti e una remunerazione equa (Sdg 8 target 8.5, 8%) e promuovere l’uso efficiente e accesso equo alle risorse idriche (Sdg 6 target 6.4, 7%).

Guardando alla concentrazione delle startup agrifood orientate alla sostenibilità nei diversi Paesi del mondo la Norvegia risulta al primo posto (25 startup agrifood, di cui il 60% sostenibili), seguita da Israele (119 startup, di cui il 58% sostenibili). In terza posizione si classifica la Nigeria (64 startup, di cui il 50% sostenibili), seguita dalla Polonia (20 startup, di cui il 50% sostenibili). L’Italia si trova al ventitreesimo posto (85 startup agrifood, di cui il 35% sostenibili).

Sul fronte dei finanziamenti, invece, considerando le sole startup agrifood con chiara indicazione geografica e che hanno ricevuto almeno un finanziamento, il 40% è rappresentato da startup sostenibili. Queste ultime hanno raccolto complessivamente 6,4 miliardi di dollari dal 2017 al 2021, con una media pari a 7,3 milioni di dollari per azienda. Al primo posto, sul fronte della raccolta di investimenti, sono le startup sostenibili statunitensi (per un totale di 3,2 miliardi di dollari e 8,7 milioni di dollari a startup), seguite dalle startup operative in Asia, che hanno raccolto 2 miliardi di dollari, con un capitale medio di 10,9 milioni di dollari a startup. Seguono le startup in Europa, che hanno raccolto finanziamenti per 911 milioni di dollari (il 14% degli investimenti totali in startup sostenibili) e una media di 4,1 milioni di dollari per startup. Il finanziamento complessivo ottenuto dalle startup agrifood nel nostro Paese è di 16 milioni di dollari, con un capitale medio per startup di 1,6 milioni di dollari.

Ridurre gli sprechi nella catena del freddo grazie all’It

L’Osservatorio ha analizzato oltre 79 soluzioni innovative introdotte dalle startup agrifood, operative nel quinquennio 2017-2021, orientate a ridurre gli sprechi nella catena del freddo. Le soluzioni mirano ad ottimizzare la produzione in risposta all’andamento della domanda e a diminuire le scorte in magazzino, tramite un migliore allineamento di domanda e offerta (11% del campione) e l’accorciamento della supply chain (6%). Puntano a migliorare la conservazione dei prodotti attraverso l’estensione della shelf life (10%) e il monitoraggio della temperatura e di altri parametri critici (9%). Infine, per valorizzare le eccedenze di prodotti freschi, le startup propongono piattaforme digitali per la ridistribuzione dei prodotti tramite vendita a prezzo scontato o donazione (28%), o in alternativa varie soluzioni tecnologiche di upcycling per trasformare l’eccedenza in altro prodotto edibile a più lunga vita residuale o per recuperarne parte del valore per fini di alimentazione animale, riciclo o recupero energetico (36%).

“La catena del freddo è di fondamentale importanza nel settore agroalimentare per il ruolo insostituibile che i prodotti freschi e freschissimi ricoprono per una dieta sana e nutriente – spiega Marco Melacini, responsabile scientifico dell’Osservatorio Food Sustainability -. Ma bisogna superare le criticità delle interfacce tra i diversi attori della filiera, in particolare durante il trasporto o nelle fasi di carico e scarico della merce, e poi il trade-off tra decisioni strategiche e pratiche operative orientate, da una parte, a obiettivi di efficientamento energetico o di incremento delle vendite in store e, dall’altra, a obiettivi di mantenimento delle condizioni ottimali di conservazione dei prodotti e quindi prevenzione degli sprechi”.

Dall’innovazione una leva durature e sostenibile di trasformazione

“La crisi alimentare va affrontata azionando molte leve – spiega Raffaella Cagliano, responsabile scientifico dell’Osservatorio –. Una risposta fondamentale viene dagli accordi tra Paesi per salvaguardare una fornitura adeguata ed equa di prodotti alimentari, insieme alle politiche di Commissione Europea e governi nazionali per rafforzare sicurezza, resilienza e sostenibilità dei sistemi agroalimentari. Altre misure devono essere prese da governi locali e nazionali in partnership con le organizzazioni non profit per mitigare nel breve termine gli impatti sociali più negativi. Una spinta decisiva viene anche e soprattutto dal sistema delle imprese con il loro contributo di innovazione, che è la leva per una trasformazione duratura e sostenibile del sistema agroalimentare”.

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