La digitalizzazione? Il suo utilizzo può incrementare la produttività delle aziende anche del 64%. Ma può contribuire in modo decisivo anche al benessere e all’inclusione sociale: merito degli strumenti di collaboration e smart working che per il 63,7% delle imprese rappresentano una leva cruciale di sviluppo. Non solo. A livello globale, sarà proprio il ricorso a strumenti digital a dare una svolta all’impatto dell’umanità sul pianeta: le nuove tecnologie, si stima, contribuiranno infatti ad abbattere del 10% in dieci anni, dal 2020 al 2030, le emissioni di Co2.
Nello sforzo globale in direzione di uno sviluppo sostenibile, è ormai evidente: gli strumenti di digitalizzazione si rivelano vincenti e rivoluzionari su tutti i fronti, da quello economico al sociale, sino a quello ambientale. Lo ribadisce lo studio “Digitalizzazione e sostenibilità per la ripresa dell’Italia”, elaborato da The european house – Ambrosetti in collaborazione con Microsoft Italia. La ricerca si è posta l’obiettivo di indagare il contributo del digitale allo sviluppo sostenibile, identificandone gli ambiti di applicazione e quantificandone gli impatti sulle sue diverse componenti per l’Italia nel contesto della ripresa post Covid-19.
Trasformazione digitale e sostenibilità: ecco le sinergie
Nello studio vengono identificate le sinergie tra trasformazione digitale e le diverse componenti di sviluppo sostenibile.
Sotto il profilo della sostenibilità economica, lo studio dimostra come le aziende digitalizzate ottengano un importante beneficio sulla produttività del lavoro rispetto alle aziende che non hanno ancora attuato percorsi di trasformazione digitale (+64% per le aziende italiane, rispetto ad un +49% per le aziende europee).
Sotto il profilo della sostenibilità ambientale, il gruppo di lavoro ha costruito un innovativo modello proprietario per stimare il contributo del digitale alla decarbonizzazione. Dal modello risulta come il digitale sarà una delle armi più importanti per la transizione verde, con un impatto al 2030 pari a quello incrementale delle energie rinnovabili. Complessivamente, infatti, si stima che tra il 2020 e il 2030 il digitale contribuirà ad abbattere fino al 10% delle emissioni rispetto ai livelli del 2019 (37 milioni di tonnellate di CO2 annue).
Sotto il profilo della sostenibilità sociale, lo studio evidenzia chiaramente come l’adozione di nuovi modelli di collaborazione sia la principale leva d’azione attraverso cui le aziende possono contribuire al benessere delle persone, all’inclusione sociale e all’inclusione dei territori. Nella survey condotta su un campione di oltre 200 aziende italiane in cui nuove forme di lavoro a distanza (63,7% del campione) e di collaborazione (59% del campione) sono state indicate come le principali leve attraverso cui il digitale può contribuire alla sostenibilità sociale.
Sostenibilità sempre più al centro delle strategie
Dall’indagine emerge inoltre che i valori di sviluppo sostenibile sono sempre più al centro di un interesse acceso e cresce tra le aziende la consapevolezza del loro valore quale leva competitiva per il business: il 64% delle aziende intervistate considera infatti la sostenibilità ambientale come uno dei pilastri della propria visione. Sostenibilità ambientale che si declina secondo significati differenti: per il 59% delle aziende sostenibilità ambientale significa efficientamento dei processi interni, per il 39,6% implica il rinnovamento dei propri prodotti e servizi in ottica sostenibile, il 5% del campione ha indicato anche la necessità di competenze e figure professionali adeguate per concretizzarne le implementazioni produttive e strategiche per uno sviluppo sostenibile. Segue a questa esigenza strutturale l’intenzione di allargare la propria visione di sviluppo sostenibile all’intera filiera, che complessivamente interessa oltre il 60% del campione.
Percentuali queste che si riducono nel caso delle piccole e medie imprese: solo il 47% delle Pmi, infatti, considera la sostenibilità un caposaldo della propria missione (vs. 67% delle sole grandi aziende). Il 50% sta ridisegnando i propri processi interni in ottica di efficientamento del consumo di risorse (vs 69% grandi). Gli sforzi principali delle piccole imprese per implementare dinamiche di sviluppo sostenibile si concentrano invece principalmente nella selezione della supply chain (50%) e, sorprendentemente, nella creazione di figure professionali pronte ad agire il cambiamento. Le piccole imprese, in sostanza, scommettono sulle persone e sulle capabilities “green” lungo tutta la filiera.
Necessità di una cultura orientata al digitale
Vero abilitatore del cambiamento in chiave sostenibile è la presenza di una cultura aziendale orientata al digitale. A sostenerlo è il 42% delle aziende del campione; a seguire, la presenza di processi che permettano di sfruttare a pieno il digitale (24%) e delle giuste competenze per creare valore a partire dagli asset digitali in azienda (21,5%). Fattori, questi tre, che guardati insieme rimandano alla maturità del business in materia di digitale e nuove tecnologie. Una cultura aziendale digitale, che integra la tecnologia nella propria value chain e nella propria strategia, è quindi predisposta a sfruttarne il valore oltre la “semplice” efficienza, ma anche, ad esempio, ad innovare prodotti e servizi e registrare impatti positivi sui territori di attività – con maggiore ingaggio di consumatori e investitori, e ricadute positive in termini di competitività.
Dalla ricerca emerge inoltre che oltre l’86% delle aziende dichiara di aver implementato o programmato misure per la sostenibilità abilitate dal digitale. Il restante 14%, che ancora non ha realizzato né pianificato implementazioni sostenibili, fa riflettere sulla necessità, ancora invalidante, di finanziamenti a sostegno della transizione green e della digitalizzazione, governance orientate alla sostenibilità e procedure più snelle – a cui il Pnrr, con il 70% delle risorse dedicate a green e digitale, potrà imprimere un’accelerazione significativa.
Dimensione aziendale variabile significativa
Anche in questo caso, però, la dimensione dell’azienda è una variabile significativa: la quota di piccole aziende che fanno leva sul digitale per incrementare il loro livello di sostenibilità ambientale è dimezzata rispetto alle grandi aziende (38% vs. 69%), mentre la quota di Pmi che non ha ancora implementato queste misure ammonta a circa il 25% (vs. il 10% delle grandi). Questi dati parlano di una difficoltà delle aziende più piccole a stare al passo con la doppia rivoluzione che le investe – green e digitale. Tuttavia, è proprio in seno alle piccole imprese che avverranno gli sforzi maggiori nel prossimo futuro: il 38% delle piccole imprese ha infatti programmato misure digitali per la sostenibilità, contro il 21% delle grandi.
Diminuzione degli spostamenti (71,2%), dematerializzazione dei processi (68,4%), gestione più efficiente delle operations (50,9%) e incremento delle attività di monitoraggio (49,1%) sono i principali fattori che secondo le aziende intervistate contribuiscono a migliorare il livello di sostenibilità ambientale.
Verso nuovi modelli di business e vita più sostenibili
“La crisi del Covid-19 ha alimentato il senso di urgenza rispetto alla necessità di una transizione verso forme di sviluppo più sostenibili, in cui crisi climatica e crescita delle disuguaglianze sono i due fattori di rischio principali. Il 2021 è un anno chiave per imprimere forti discontinuità rispetto al passato” dichiara Valerio De Molli, managing partner & Ceo di The european house – Ambrosetti –. Non solo la digitalizzazione è in grado di imprimere un impressionante recupero di produttività del lavoro del 64% per le imprese più digitalizzate, ma abilita le imprese a dare un importante contributo alla sostenibilità. Sotto il profilo ambientale il nostro modello stima un contributo del digitale alla decarbonizzazione di 37mln di tonnellate di C02 annue pari al contributo incrementale delle energie rinnovabili tra il 2020 e il 2030 e pari al 10% delle emissioni al 2019. Sotto il profilo sociale, oltre il 60% delle imprese conferma come le nuove forme di collaborazione abilitino maggiori livelli di benessere ed inclusione. In tal senso, il progetto “Smart Borgo”, proposto dai giovani che hanno vinto la challenge da noi realizzata, propone una concreta visione di come i giovani immaginano il proprio futuro lavorativo”.
“Le tre grandi sfide per il rilancio del nostro Paese – sostenibilità, digitale e inclusione sociale – sono strettamente legate tra di loro e, investendo in maniera sinergica e strategica, possono creare un circolo virtuoso in grado di accelerare non solo la ripresa, ma l’evoluzione verso nuovi modelli di business e vita più sostenibili. Questo studio si pone l’obiettivo di analizzare le strette correlazioni tra questi tre filoni, dimostrando i notevoli impatti che piani e iniziative in questi ambiti possono avere sulla crescita della nostra economia e del mondo del lavoro, nel pieno rispetto delle sfide ambientali e promuovendo in Italia una società più aperta e in grado di dare opportunità a tutti. Come Microsoft, siamo al fianco delle organizzazioni pubbliche e private con soluzioni, risorse e competenze volte a favorire la crescita del loro business in maniera sostenibile, a creare ambienti di lavoro più flessibili produttivi e inclusivi, oltre a supportarle nel creare professionalità al servizio delle nuove sfide. Il nostro impegno si inserisce anche sui temi della sostenibilità, sia in maniera diretta con un piano di riduzione del nostro impatto ambientale sia con soluzioni e iniziative volte ad aiutare imprese, enti e associazioni ad evolversi in modalità green. Siamo in un momento unico dove le opportunità di colmare i gap e ritornare a crescere ponendo le basi per un futuro migliore per il nostro Paese sono davanti a noi. Serve un impegno corale e condiviso dal mondo pubblico e privato per realizzare il Digital Restart dell’Italia”, commenta Silvia Candiani, amministratore delegato di Microsoft Italia.
“Il contributo che la digitalizzazione può portare al raggiungimento della sostenibilità delle comunità e dei territori è da tempo al centro del dibattito scientifico e politico, oltre ad avere un ufficiale riconoscimento nella recente strategia europea ed italiana per la ripresa e la resilienza. Tuttavia, una specifica quantificazione dell’impatto che questa rivoluzione ha, o potrebbe avere, sul Paese, nel campo della ripresa economica, della inclusione sociale e della lotta al cambiamento climatico, non era ancora stata realizzata. Uno dei principali pregi dello studio è proprio quello di aver portato alla evidenza pubblica questi dati, sottolineandone la forza e l’urgenza, nell’anno in cui l’Italia ha assunto la presidenza del G20 ed il negoziato sul clima di COP26 rivedrà i target dei precedenti accordi realizzati a Parigi, affinché siano colte le opportunità offerte dagli attuali finanziamenti messe a disposizione dal PNRR, in maniera responsabile e strategica”, ha commentato l’advisor scientifico dell’iniziativa Patrizia Lombardi, prorettore del Politecnico di Torino e presidente della Rete italiana delle Università per lo sviluppo sostenibile.
Proposte concrete per un futuro sostenibile
Alla luce delle evidenze emerse, lo studio riporta tre proposte concrete indirizzate ai policymaker e alle aziende.
Innanzitutto si rende necessario abilitare il diritto/dovere alla formazione digitale attraverso un “new Deal” delle competenze: una pluralità di indicatori segnala infatti la carenza di competenze digitali come l’elemento di debolezza chiave del sistema industriale italiano. È appena il 42% degli adulti a possedere competenze digitali di base, contro una media UE del 57%. Incentivare le competenze necessarie a sfruttare, a livello professionistico e di massa, il potenziale del digitale è quindi chiave non solo per la produttività, ma anche per gli obiettivi di transizione verde, in un contesto di mercato sempre più veloce e con una crescente importanza dell’apprendimento permanente.
Altra proposta è quella di sancire il diritto universale al digitale come leva di inclusione sociale e riduzione delle disuguaglianze. Post Covid, le Nazioni Unite riportano un deterioramento trasversale degli indicatori legati ai Sustainable development goals, con impatti particolarmente severi in particolare su tre fronti: economia, salute e istruzione. Come confermano i dati sull’andamento della povertà nel nostro Paese per il 2020, il numero di individui in povertà assoluta è passato da 4,6 a 5,6 milioni di individui, registrando un aumento del 22,8%. Il dato riflette la severità degli andamenti occupazionali, per cui tra gennaio e dicembre 2020 si è registrata una contrazione -1,1% per gli uomini e del -2,7% per le donne. Ma, forse ancora più significativo, è l’aumento del numero degli inattivi: persone senza lavoro ma che, scoraggiati dalla crisi, rinunciano a ricercare un’occupazione: +2,6% per gli uomini e +3,7% per le donne. La pandemia ha quindi accelerato l’importanza di interventi volti a colmare il digital divide tra la popolazione e tra porzioni del territorio italiano, aprendo opportunità di sviluppo per i territori economicamente meno dinamici e periferici, grazie alle possibilità offerte dal digitale e dalla remotizzazione del lavoro, che può innescare circoli virtuosi di sviluppo e brain (re)gain per i territori periferici del Paese.
Infine, si suggerisce di individuare standard condivisi per misurare l’impatto delle aziende tra i molti esistenti: al fine di poter convogliare anche le energie del mondo privato verso la costruzione di modelli di produzione e consumo sostenibili, è chiave elaborare metodologie condivise per la quantificazione degli impatti ambientali e sociali di tutte le attività di impresa. Senza la misurazione degli impatti, sarà infatti impossibile trasformare il minor impatto ambientale o sociale in un vero e proprio vantaggio competitivo degli operatori più virtuosi, innescando meccanismi di premialità economica e finanziaria per i soggetti più avanzati sulla strada della carbon neutrality.