“Responsabilità” è un termine oggi sempre più legato al concetto di impresa. Non viene più associato solamente all’etica, in quanto può diventare una vera e propria leva per le aziende, tanto da essere incorporato nella visione a lungo termine. Quindi, come tracciare una direzione “responsabile” per la propria azienda? Per farlo è ormai diventato imprescindibile adottare quella che gli economisti chiamano la stakeholder theory, cioè fissare come scopo dell’impresa la soddisfazione delle aspettative di tutti i portatori di interessi, dagli investitori, ai dipendenti al contesto territoriale in cui opera”.
In quest’ottica, gli investimenti finalizzati alla riduzione degli impatti ambientali, di cui quelli per il welfare aziendale, per le attività di comunicazione e per favorire il dialogo con gli stakeholder, sono esempi di attività, che imprese di qualunque dimensione e natura dovrebbero considerare come assi portanti della propria attività, dal momento che soddisfare tutti i portatori di interessi è non solo giusto da un punto di vista etico, ma anche utile a generare valore nel lungo termine. Un’impresa che non abbia lavoratori motivati, non sia all’avanguardia nella riduzione dei consumi energetici dei propri prodotti, un’impresa cioè che non consideri il “valore condiviso” (CSV – Creating Shared Value), è destinata a subire, prima o poi, un declino anche della propria performance economico-finanziaria.
La sostenibilità, intesa dunque in senso ampio -è diventata per molte imprese un tema critico, ma non un tema strategico perché è ancora vissuta più come una minaccia, che come un’opportunità per stimolare l’innovazione radicale, sia tecnologica che culturale, e per creare vantaggio competitivo. Eppure, la sostenibilità è una forza potenzialmente trasformativa dell’impresa stessa e si candida a diventare il driver principale di innovazione del ventunesimo secolo.
Dalla Corporate Social Responsibility al Creating Shared Value
Le aziende che abbracciano il “valore condiviso”, hanno più possibilità di successo, perché crescono contemporaneamente lungo tre direttrici, economica, sociale e ambientale, tra loro strettamente connesse. Già oggi, infatti, e sempre più nel lungo periodo, le performance economiche sono influenzate dall’equità sociale e dall’integrità ambientale. Temi che nei prossimi anni diventeranno sempre più complessi da affrontare, considerata l’accelerazione esponenziale dei fenomeni.
Per poterlo fare, è necessario adottare un approccio molto più radicale rispetto a quello della CSR che in molti casi si è tradotta solo in attività di marketing e comunicazione o in piccole iniziative etiche scollegate tra loro e finalizzate a migliorare la percezione dell’impresa rispetto al contesto di riferimento. I programmi di CSR, infatti, si focalizzano principalmente sulla reputazione e hanno un collegamento limitato con il business, il che rende difficile giustificarli e mantenerli nel lungo termine. Il CSV, secondo M.Porter e M.Kramer i due economisti che elaborarono questa teoria nel 2011, partendo proprio dall’analisi del fallimento della CSR, implica invece un ripensamento profondo del ruolo dell’impresa nell’ambito del contesto in cui opera, come generatrice non solo di profitto ma anche e soprattutto come realtà capace di migliorare le condizioni economiche e sociali della comunità che la circonda e, di rimando, creando condizioni migliori per l’impresa stessa; conseguentemente l’innesco di un circolo virtuoso, quindi, costituisce la base anche del concetto diffuso di sviluppo sostenibile. La creazione di valore condiviso (CSV) deve quindi prevalere sulla responsabilità sociale d’impresa (CSR) nel guidare gli investimenti effettuati dalle aziende nelle comunità in cui operano. Questo cambio di paradigma è certamente la base portante della definizione teorica della sostenibilità nella sua accezione contemporanea, ma come si ‘crea valore condiviso’ nella pratica e nella vita quotidiana di un’impresa?
Il team di specialisti di Strategy Innovation, guidati dal Prof. Bagnoli, da alcuni anni lavora all’elaborazione di un modello che possa definire in maniera pratica quanti e quali sono le iniziative, procedure e scelte che un’azienda deve conoscere e considerare per costruire il proprio e unico percorso di sostenibilità.
Cinque modelli di business da seguire
Uno studio, condotto dal Dipartimento di Management di Università Ca’ Foscari Venezia e finanziato con la Dgr 948 Responsabilmente, in cui sono state visitate 287 imprese e analizzate 1031 pratiche di RSI, ha permesso di identificare cinque percorsi comuni alle aziende che si sono orientate alla sostenibilità intesa come valore condiviso e non solo responsabilità sociale. Questi cinque modelli di business riguardano i cinque ambiti in cui operano i principali stakeholder di un’azienda, dal personale, ai fornitori, dai prodotti e servizi alla supply chain, alla sostenibilità ambientale. Un’idea di sostenibilità quindi molto ampia e accessibile a qualunque organizzazione decida di investire sul proprio futuro di azienda ma anche di comunità.
I modelli di business sostenibili offrono tutti una metodologia strategica alla sostenibilità, e quanto più possibile personalizzata e innovativa. Approccio strategico e quindi la necessaria costruzione di progetti e iniziative fissati su obiettivi di lungo periodo che considerino tanto l’impatto positivo da generare per ambiente e società, quanto per l’impresa stessa.
- Well-being Business model. Questo è il modello di business dell’impresa che intende strutturarsi attraverso un approccio human-centered e sul benessere delle persone. Si traduce in azioni ad alto impatto sul benessere dei lavoratori e delle rispettive famiglie, nonché dei territori di appartenenza. Salute e sicurezza sul lavoro, clima aziendale positivo, chiarezza dei ruoli e delle funzioni aziendali, trasparenza, adozione di sistemi partecipativi o orizzontali, programmi di crescita professionale e personale dei lavoratori, conciliazione vita privata-lavoro, sistemi di welfare o benefit, spazi e tecnologie human-centered sono solo alcune delle iniziative che concorrono a rendere l’impresa sostenibile. Dalla ricerca emerge che tante imprese già si muovono su questi ambiti, ma per lo più in modo disaggregato, poco strategico o guidati da input esterni. Il well-being business model, invece, presuppone una pianificazione personalizzata e strategica che focalizzi l’attenzione sulle esigenze presenti e potenziali dei lavoratori e agisca sui fabbisogni dell’impresa tra cui: attrattività e mantenimento di talenti, produttività ed efficienza, aumento delle competenze e della qualità professionale, per citare alcuni esempi: si può affermare che le spese relative al perseguimento del benessere aziendale siano un vero e proprio investimento sulla produttività futura, sull’efficienza e sull’engagement dei lavoratori.
- Green & Circular business model. Questo è il modello di business dell’impresa che adotta il paradigma della sostenibilità ambientale e del rispetto dei meccanismi di regolazione dell’ecosistema all’interno dei processi produttivi, orientandosi nella direzione dell’economia circolare, attraverso, per esempio, uso di risorse sostenibili, eco-design dei processi, prodotti con funzionalità o caratteristiche green, packaging sostenibile, rapporto con l’ambiente esterno e chiusura dei cicli, gestione dei fornitori in ottica di sostenibilità ambientale. Anche questo modello offre la comprensione di tutti i possibili ambiti in cui un’impresa può agire e innovare il proprio business, prodotto o posizionamento strategico sul mercato generando valore positivo per l’ambiente. Il Green & Circular di fatto rappresenta il tema di sostenibilità più riconosciuto e più urgente se consideriamo l’accelerazione delle normative e dei programmi istituzionali in tal senso, primi fra tutti il Green New Deal europeo. Anche in questo caso, il modello spinge l’impresa a pensare però ad azioni innovative e di proposta/anticipazione dei trend ambientali, evitando che l’azienda subisca tale tematica come una gravosa e impegnativa rincorsa di compliance in futuro.
- Fair-trade business model. È il modello di business dell’impresa che intende gestire la supply chain attraverso i paradigmi dell’etica, della sostenibilità e delle partnership innovative, partendo dalle modalità di approvvigionamento e dal rapporto contrattuale con i fornitori, toccando il delicato tema dei diritti umani nelle catene globali, fino alla creazione di vere e proprie partnership strategiche in tutta la propria filiera, per favorire l’innovazione sociale e ambientale e promuoverne la crescita e la salute in ottica sostenibile. Specialmente le PMI, si possono trovare oggi a subire passivamente le iniziative di filiera etica dei clienti internazionali (pesanti audit sociali e ambientali ne sono un esempio). Anche in questo caso, dunque, si ragiona sulla possibilità di porsi come precursori, innovatori, tasselli trainanti – e quindi con valore aggiunto-, di una filiera che si muove verso importanti obiettivi di sostenibilità specifici e concreti, nel settore di appartenenza.
- Social need business model. Forse il più avanzato e innovativo modello di sostenibilità. Qui si mette in pratica il concetto di ‘innovazione sociale’ ovvero la possibilità, per l’impresa, di pensare nuovi prodotti, servizi o modelli che rispondano concretamente ad un bisogno sociale, in modo più efficace delle alternative esistenti. Qui si posizionano le start up innovative e le imprese sociali, ma anche tutte quelle aziende che decidono di fare dell’obiettivo sociale una forza per il business, creando nuovi prodotti, nuove linee produttive e scostandosi dal proprio modello di business tradizionale. Analisi del bisogno, design strategico, soffermarsi sui significati del prodotto e sulle caratteristiche funzionali/simboliche, sono tutte fasi essenziali del social need business model, che possono portare a una modifica anche sostanziale della propria proposta di valore, permettendo l’accesso a nuovi mercati o a mercati emergenti.
- Society intimacy business model. Ecco, infine, il modello di business dell’impresa che vuole dare priorità, nel proprio processo di creazione di valore, alla relazione con il territorio e con la comunità di appartenenza, come anche con una community digitale, mettendo in atto misure concrete in grado di migliorare il proprio impatto sociale e ambientale. In questo modello, le relazioni con i clienti e altri stakeholders vengono rafforzate dalla natura educativa e dal supporto attivo ad una causa sociale o ambientale. In questo modo l’azienda diventa “change maker”, ovvero un soggetto artefice di cambiamento e di sensibilizzazione, che promuove attivamente una cultura aziendale all’insegna della sostenibilità sociale e ambientale.
La ricerca ha permesso di accedere a informazioni molto importanti sul tipo di approccio sviluppato in modo spontaneo dalle imprese venete nei confronti delle principali tematiche della sostenibilità. Il grafico riportato mostra le 1.030 azioni di etica e sostenibilità delle 280 aziende analizzate e il loro posizionamento sulle 5 tematiche appena presentate: il 41% delle imprese venete del campione hanno attività consolidate verso i propri lavoratori e il loro benessere (well-being); il 27% ha dato il via ad attività sul tema ambientale (Green & circular); il 20% è parte di reti o iniziative che coinvolgono i territori e le comunità (Society Intimacy). Poche sono le imprese che hanno ripensato e innovato prodotti o servizi in ambito di sostenibilità sociale/ambientale (8% Social Need) e ancora molto poche quelle che hanno pensato alla filiera come driver strategico di cambiamento e impatto positivo (5% Fair Trade).
La crescita esponenziale di attenzione verso la sostenibilità e l’impatto dirompente della recente pandemia globale richiedono una nuova osservazione del fenomeno, che Ca’ Foscari e lo spin-off Strategy Innovation stanno portando avanti.
La sostenibilità è una strategia perseguibile indipendentemente dal settore di appartenenza o dalla dimensione dell’azienda, investendo in questa direzione si permette l’ottenimento di molti benefici, tra i quali per esempio: aumentare il vantaggio competitivo attraverso lo stakeholder engagement, migliorare il risk management, stimolare l’innovazione, aumentare le performance economiche, fidelizzare i clienti ed inoltre attrarre e ingaggiare i migliori dipendenti.
Per le aziende, intraprendere questa strada, significa abbandonare la visione di breve periodo orientata al solo profitto per abbracciare quella di lungo periodo, risultando interpreti di un cambiamento sociale radicale, importante per l’ambiente e per tutta la comunità.