Milano smart city d’Italia. Dal 2012 il Comune ha messo a sistema una serie di progetti sviluppati alla “spicciolata” in ambito di innovazione urbana, finiti poi sotto il capello del programma “Milano Smart City”. Quest’anno la città ospita l’edizione 2017 di Icity Lab, l’evento annuale targato Fpa. Quest’anno la manifestazione avrà come filo conduttore la sostenibilità e l’innovazione. In questo momento il capoluogo lombardo quello che meglio di altre città sta lavorando in una logica di “laboratorio urbano” mettendo al centro del cambiamento tutti gli attori del tessuto cittadino. Di come Milano è diventata la “capitale smart” ne parliamo con Lucia Scopelliti, responsabile Unità Progettazione Economica, Direzione Economia Urbana e Lavoro di Palazzo Marino.
Scopelliti, quali sono i progetti chiave su cui è impegnata la città?
Il nostro cavallo di battaglia è il progetto Sharing Cities, finanziato con un bando Horizon 2020 per un valore complessivo di 25 milioni di euro. Circa 8,6 milioni saranno destinati al partenariato locale della città di Milano e di questi circa 2,1 milioni di euro saranno introitati dal Comune. Si tratta di un’iniziativa sviluppata in partnership con Londra (capofila) e Lisbona. L’obiettivo è quello di integrate le tre infrastrutture essenziali urbane: le reti Ict, la mobilità e l’energia. Lavoriamo allo sviluppo di una piattaforma urbana di condivisione per la gestione dei dati provenienti da una vasta gamma di fonti – ad esempio i sensori o le statistiche tradizionali – che si avvarrà di uno standard comune da replicare su diverse città per mettere in campo efficaci azioni di innovazione urbana.
Il digitale facilita la co-progettazione di una città intelligente ma cambia anche la vita delle persone. Milano come si sta muovendo su questo fronte?
Da segnalare l’iniziativa Open Care, anche questa finanziata da Horizon 2020, che vuole dare risposta ai bisogni specifici del singolo cittadino, coordinando il lavoro di comunità innovative e variegate – hacker, artisti, attivisti, designer, tra gli altri – che saranno impegnate nel disegnare e prototipare nuovi strumenti dedicati alla cura.
In che modo?
Tramite la raccolta di esperienze su servizi di cura dal basso, che partono dalle comunità nonché attraverso l’uso fabbricazione digitale e delle tecnologie open hardware e low cost per dare risposte concrete e centrate sulla persona. L’obiettivo ultimo è quello di integrare i dati raccolti per la prototipazione della prossima generazione di servizi di cura dal basso.
Milano è stata la prima città a lanciare una iniziativa di Manifattura 4.0. Con quali obiettivi?
Il Comune ha messo sul piatto dieci milioni di euro per sviluppare la manifattura digitale in città, anche recuperando spazi, pubblici e privati, nelle periferie. L’obiettivo è quello di generare lavoro e sviluppare nuove economie urbane, soprattutto in periferia.
La città è stata una delle più industrializzate del nostro Paese. In concreto come intendete recuperare quella tradizione?
Lo faremo sfruttando tutte le potenzialità del digitale per valorizzare le 36mila imprese e i 350mila addetti del manifatturiero, a cui vanno aggiunti 13mila artigiani. Partendo da attività di monitoraggio del territorio – valutiamo quali siano le possibilità di sviluppo nelle aree periferiche – verranno creati laboratori e servizi territoriali dedicati alla nuova manifattura, sia nella veste di fablab o makerspace sia in quella di servizi di incubazione e accelerazione per Pmi e startup innovative. Contestualmente avvieremo iniziative di recupero di spazi attualmente inutilizzati per trasformarli in luoghi d’elezione della manifattura digitale.
La formazione gioca un ruolo centrale in questo progetto.
Per fare di Milano una città 4.0 non si può non investire in formazione: verranno creati percorsi ad hoc, dai quali si generino nuove competenze informatiche, tecniche e scientifiche. Eravamo abituati a pensare alla città come al luogo in cui si gestisce e si governa la deindustrializzazione mentre oggi vogliamo essere promotori di un processo di riconversione di spazi improduttivi in luoghi della produzione.