Dall’osservatorio di Assolombarda, Enrico Cereda, vice presidente per la trasformazione digitale e per l’innovazione tecnologica della più importante associazione di tutto il Sistema Confindustria, monitora la corsa delle grandi aziende e della miriade di piccole e medie imprese agli investimenti high tech per lo sviluppo dell’industria 4.0, con l’obiettivo di consolidare e accrescere il loro business in Italia e nel mondo.
Ma Cereda mette in guardia sul fatto che, affrontando un tema importante come la transizione digitale (e la collegata transizione green), si corra il rischio di confondere “causa ed effetto”, cioè “l’adozione di nuove logiche e tecnologie con la possibilità di aumentare la propria competitività e concorrere sui mercati internazionali. La fase economica di grande complessità che stiamo attraversando necessita della realizzazione di investimenti innovativi affinché le imprese generino valore e siano sempre più reattive sia nel nostro contesto nazionale, sia sui mercati internazionali”.
Per questo motivo, per Cereda, “è fondamentale guardare alla transizione digitale come a un’opportunità unica per evolvere e seguire i trend che i mercati chiedono. La posizione di Assolombarda è quella di sostenere il più possibile l’opportunità data dalla convergenza tecnologica, ovvero dell’arrivo sul mercato di molte tecnologie digitali ormai mature che possono concorrere, con l’opportuna guida, all’impatto del business aziendale. Le imprese devono considerare l’approccio al digitale come un cambio culturale che deve trasformare profondamente il ‘fare impresa’. Occorre in primo luogo lavorare sulla cultura d’impresa per far comprendere alle aziende le opportunità e i vantaggi di queste tecnologie”.
In Italia, per accelerare sulla transizione digitale servono più risorse pubbliche, più facilità d’accesso al credito per le imprese, meno burocrazia e pressione fiscale, oppure maggiore sinergia tra aziende e università?
“Serve tutto questo. Abbiamo potuto apprezzare l’azione del Piano industria 4.0 che a partire dal 2017 ha rappresentato uno stimolo all’adozione di tecnologie digitali e fatto registrare un incremento negli investimenti in nuovi macchinari e software. Ha inoltre definito e attivato un ecosistema digitale costituito dai competence center (lato accademia) e digital innovation hub (lato confindustria) per reperire competenze e accompagnare le imprese nel delicato percorso di trasformazione digitale. Il network di centri di competenza caratterizzati da sistemi virtuosi pubblico privati abilitano la digitalizzazione anche per le aziende meno strutturate fornendo competenze, metodologie, accesso alle tecnologie e strumenti per affrontare progetti di trasformazione. Sicuramente positivo e in questa direzione si colloca la recente azione del MiMit che ha disposto un finanziamento di 350 milioni di euro in quota Pnrr dei centri di trasferimento tecnologico a beneficio delle imprese a cui verranno erogati servizi e costi agevolati o contributi diretti per la realizzazione di diverse categorie di progetti innovazione digitale. Fondamentale in questa fase anche il ruolo ponte delle associazioni e dei Dih che hanno l’obiettivo di avvicinare le imprese alla comprensione degli aspetti specifici della tecnologia e dei vantaggi derivanti dalla sua adozione e di orientare le imprese nell’ecosistema di competenze e opportunità”.
Senza entrare in un terreno più strettamente politico, secondo lei, il pubblico in Italia dovrebbe fare di più per l’industria privata?
“Riteniamo importante ridefinire un piano di politiche industriali con un impianto strutturato e stabile di misure a supporto della trasformazione digitale, in coerenza con gli altri megatrend impattanti la produzione manifatturiera quali la transizione ecologica. Il Piano andrebbe prorogato e arricchito di misure capaci di stimolare la visione di lungo termine e i passi realizzativi di breve in tutto il sistema nazionale, magari rafforzando le misure che hanno funzionato e proponendo nuovi provvedimenti in sostituzione di quelle che non hanno funzionato. Bisogna però guardare anche al futuro, alle tecnologie emergenti e al ruolo che la transizione digitale gioca nelle sfide globali come la sostenibilità, oltre al sostegno delle filiere e al rafforzamento dei distretti produttivi che caratterizzano i nostri territori”.
Ben vengano gli investimenti tecnologici e in capitale umano delle imprese, ma per scongiurare il rischio di un Sistema Paese a due velocità, non ritiene che anche la macchina della pubblica amministrazione debba seguire questa evoluzione con una buona dose di rapidità?
“Certamente per creare questo sistema virtuoso sarà necessario che anche la parte pubblica sostenga la transizione digitale. Da un lato, con una dotazione finanziaria adeguata, mettendo a frutto quanto nel Pnrr è stato definito e sarà possibile erogare a favore delle imprese; dall’altro realizzando quella “controparte pubblica” alla quale spetta promuovere l’innovazione dell’intero Sistema Paese attraverso l’adeguamento delle infrastrutture, il supporto all’integrazione degli ecosistemi, la sburocratizzazione, l’incentivazione di comportamenti virtuosi e il sostegno agli attori economici che possono incontrare maggiori difficoltà. In primis sarà necessario adoperarsi per ammodernare ed estendere le infrastrutture digitali su tutto il territorio nazionale in maniera uniforme per garantire che l’innovazione tecnologica viaggi di pari passo con l’inclusione sociale e territoriale.
A un territorio come quello di Assolombarda, dove l’offerta di tecnologia e innovazione è cospicua, e alle imprese che lo rendono tale, spetta il ruolo di locomotiva del Paese facendo crescere la consapevolezza della possibilità di raggiungere determinati risultati con un approccio digitale, utilizzando le tecnologie con le competenze necessarie”.
In qualità di vicepresidente di Assolombarda per la trasformazione digitale e l’innovazione tecnologica, è a conoscenza di grandi aziende che abbiano messo in campo best practices e progettualità utili anche a Pmi, start up e università? Potrebbe fare qualche esempio?
“È compito delle grandi realtà creare le condizioni, essere “attivatori” di processi evolutivi che mettano a sistema best practices e progettualità utili a tutti. Un esempio riguarda da vicino il mio impegno in Assolombarda. Nell’ambito della mia delega alla transizione digitale le attività sono sviluppate e presidiate da alcuni working group costituiti da referenti di aziende e figure di rilievo per il tema presidiato. Sono quindi stati costituiti dei gruppo di lavoro (“Domanda Digitale”, “Data & Artificial Intelligence”, “Cybersecurity”, “Digital Platform”, “Blockchain”) a cui partecipano uomini e donne di impresa e referenti accademici e che hanno incarico di sviluppare delle linee di attività per raccogliere istanze e priorità delle aziende sui diversi temi, sensibilizzare e condividere le esperienze e le buone pratiche, supportare le imprese in questo cambio di visione. L’obiettivo è di stimolare l’adozione delle logiche 4.0 nel sistema produttivo, mirando soprattutto alle Pmi, mostrando le potenzialità e le capacità applicative della tecnologia”.
La transizione digitale procede in maniera omogenea in tutti i settori produttivi italiani, oppure ci sono comparti che corrono e altri che vanno avanti più a rilento?
“La tecnologia rappresenta sempre più una fonte di vantaggio competitivo per le aziende in grado di sfruttarla. Così come accade in altri paesi, per le aziende italiane nei diversi settori è importante presidiare i principali trend tecnologici e approfondire il cambiamento che sta ridefinendo gli equilibri all’interno dei diversi mercati di riferimento. Guardando al nostro territorio, i dati derivanti dalle attività con le imprese associate (Dih Lombardia, aprile 2023) evidenziano come settori per dna portati all’innovazione come i servizi innovativi, la meccatronica e l’automotive ma anche la scienza della vita e il farmaceutico facciano registrare un indice di maturità in media più alto rispetto a quei settori basati su tecniche più tradizionali quali ad esempio l’edilizia o l’agroalimentare. Partendo, in media, da un livello discreto di maturità digitale e preparazione al cambiamento, siamo consci che per ogni settore ci siano importanti margini di miglioramento e opportunità ancora da cogliere”.
Il nostro tessuto imprenditoriale è fatto di una miriade di piccolissime, piccole e medie imprese, le quali spesso sono a conduzione familiare anche se in tanti casi eccellono nelle loro nicchie di mercato. Ma questa caratteristica italiana rende l’innovazione tecnologica più lenta rispetto a Paesi come Germania, Stati Uniti, Regno Unito e Francia?
“Germania e Usa sono stati i primi a cogliere ed affrontare la trasformazione digitale seppur con delle differenze sostanziali sulle modalità di approccio metodologico e di policy coerentemente con i grandi gruppi che guidano le economie dei due paesi. In Germania, grazie ad un impulso governativo il paradigma industrie 4.0 partito dai capo-filiera specialmente dell’automotive in sinergia con le grandi realtà dell’automazione, ha fatto sì che si propagasse lungo la filiera il modello di smart manufacturing abilitato da Cyber physical production system e da quelle tecnologie che abilitano una piena integrazione lungo la catena del valore. L’approccio statunitense invece, guidato principalmente da iniziative imprenditoriali con il significativo coinvolgimento dei grandi gruppi Ict e digital, è stato caratterizzato da un lavoro rivolto al superamento delle barriere tecnologiche (standard, interoperabilità) all’utilizzo dei dati per creare valore lungo l’intero ciclo di vita del prodotto/servizio. Nel caso dell’Italia, caratterizzata da pochi grandi gruppi in grado di guidare la trasformazione manifatturiera e di coordinare l’evoluzione e l’integrazione delle catene del valore, un ruolo di attivatore importante è stato giocato dal Piano nazionale 4.0. L’indice Desi relativamente alla dimensione dell’integrazione delle tecnologie digitali nelle attività d’impresa ha registrato nell’edizione 2022 un posizionamento dell’Italia all’ ottavo posto, prima tra i grandi Paesi europei. Più del 60% delle imprese ha investito in tecnologie digitali quantomeno di base in maniera relativamente significativa.
Affinchè questo recupero possa consolidarsi ed estendersi ad altri ambiti è importante che i grandi gruppi e le realtà più strutturate possano e debbano trainare la filiera condividendo esperienze, competenze e soluzioni, disseminando le best practice e adattandole anche per quelle realtà di dimensione medio piccola, spesso leader nelle nicchie di mercato in cui operano, che fanno grande il nostro Paese”.
L’innovazione tecnologica pone anche la questione cruciale della cybersecurity: si sta investendo a sufficienza in Italia sul fronte della protezione dei dati?
“Secondo un’indagine dell’Osservatorio Cybersecurity e Data Protection del Politecnico di Milano, gli investimenti in Italia sono aumentati del 18% rispetto all’anno scorso toccando i 1.855 milioni. Se però consideriamo un quadro complessivo più ampio e compariamo la spesa italiana in ambito cyber con quella di Stati Uniti, Regno Unito, Francia e Germania in relazione al Pil, possiamo osservare come il rapporto tra spesa cyber e Pil, intorno allo 0,10%, seppur in lieve crescita risulta ancora nettamente inferiore a quello degli altri paesi (Stati Uniti e Regno Unito hanno un rapporto del 0,31%, mentre Germania e Francia si attestano a 0,19% e 0,18%). Sempre secondo l’Osservatorio, il 67% delle grandi imprese ha subito un aumento dei tentativi di attacco rispetto all’anno precedente e il 14% dichiara di aver subito attacchi con conseguenze concrete; la situazione è ancora più problematica se spostiamo lo sguardo alle Pmi. In definitiva, quanto si è fatto fino ad ora è sicuramente importante ma ancora non sufficiente. È fondamentale ricordare che gli investimenti devono riguardare non soltanto la sfera tecnologica ma anche, e soprattutto, quella legata alla formazione delle persone: gli eventi di sicurezza derivanti da errore umano sono ancora la percentuale più alta. Anche grazie alle risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), si potranno colmare alcune di queste lacune e diminuire progressivamente la superficie di attacco esposta del Paese e delle aziende che ne fanno parte”.
Eccellenza dei contenuti, sintesi, incisività rendono Bussola 4.0 di Assolombarda un modello: come impatterà sulla evoluzione delle imprese?
“Assolombarda negli ultimi anni ha lavorato e si è affermata come punto di riferimento sui temi della trasformazione digitale al fianco delle imprese, generando conoscenza e strumenti come Bussola 4.0, una piattaforma a servizio delle imprese che vogliono avvicinarsi e approfondire le tematiche legate all’utilizzo delle tecnologie. L’obiettivo è supportare le imprese, con particolare Pmi, affinché dispongano degli strumenti necessari per definire nuove strategie di business, per affrontare al meglio lo scenario competitivo e per cogliere tutte le opportunità che la rivoluzione digitale offre.
Per molte aziende è ancora necessario comprendere le opportunità legate all’implementazione delle tecnologie digitali, il loro impatto sui processi aziendali ed affrontare barriere organizzative e strategiche per la loro implementazione. Temi sui quali i decisori aziendali devono essere ingaggiati e formati in prima persona; affinché la transizione digitale diventi pervasiva nelle imprese è fondamentale il commitment del decisore aziendale che deve intendere il digitale non come un costo ma come una necessità. A partire da questa esigenza nella base associativa è stata sviluppata e resa disponibile Bussola 4.0 in grado di abilitare il decisore aziendale con uno strumento di pronta fruizione. Imprenditori e manager hanno bisogno di orientarsi in maniera rapida ed efficace tra le tecnologie digitali, per questo i contenuti di Bussola 4.0 sono caratterizzati da sintesi e incisività e resi sempre disponibili. I diversi contenuti vengono presentati in piattaforma seguendo un filo logico che conduce l’utente a mettere a fuoco e ad approfondire gli argomenti di interesse: partendo dalle esigenze/bisogni delle imprese, attraverso una mappa logica, il fruitore viene accompagnato attraverso le diverse sessioni tematiche d’interesse, alla scoperta e comprensione delle opportunità legate all’implementazione delle tecnologie 4.0”.