Garantire continuità nel tempo al piano Industria 4.0: è questo l’appello del Centro Studi di Confindustria al governo in vista delle prossime scelte di politica economica. “Bisogna allargare il più possibile la platea delle imprese coinvolte nella trasformazione digitale e sostenere le produzioni di macchinari innovativi”, si legge in una nota di Csc secondo cui è “indispensabile uno sforzo aggiuntivo negli ambiti dove la politica industriale finora ha inciso meno: da un lato la formazione e l’inserimento di competenze tecniche e manageriali all’interno delle imprese, dall’altro il coordinamento degli investimenti 4.0 lungo le filiere, che riguarda anche i rapporti tra mondo produttivo e mondo della ricerca”.
Secondo gli economisti di viale dell’Astronomia se è vero che si è dato sostegno finanziario alle iniziative “gli interventi sulla dotazione di capitale umano qualificato e sul coordinamento lungo le filiere hanno fino ad oggi svolto un ruolo secondario, ma non marginale”. Uno sbilanciamento che rischia di limitare gli effetti attesi dal Piano. “La complessità della sfida tecnologica e la forte eterogeneità all’interno del sistema manifatturiero italiano richiedono una politica industriale che non accentui le divergenze nei percorsi evolutivi delle imprese. Per farlo, serve agire in modo coordinato su quattro pilastri d’intervento tra loro complementari, che corrispondono ad altrettanti vincoli strutturali allo sviluppo digitale: quello infrastrutturale, quello delle risorse finanziarie per gli investimenti, quello delle competenze umane, e quello del coordinamento lungo le filiere nazionali”.
Ad oggi, puntualizza il Centro Studi “non sono ancora disponibili dati utili a quantificare in termini economici quanto le misure di politica industriale adottate negli anni scorsi abbiano effettivamente contribuito ad innescare investimenti in tecnologie 4.0, né quale impatto abbiano avuto sulla competitività delle imprese italiane”. I dati sull’utilizzo delle misure d’incentivo fiscale nel 2017 saranno infatti disponibili solo nel 2019 – puntualizzano gli economisti – “quindi ben oltre l’approvazione della legge di bilancio nella quale si dovrà decidere se e in che misura dare continuità alla strategia nazionale per Industria 4.0 anche dal prossimo anno”.
I riflettori sono prevalentemente puntati sulle competenze: “L’impegno deve riguardare non solo il supporto alla domanda da parte delle imprese ma anche l’ambito dell’offerta formativa: serve avviare un progetto nazionale sull’orientamento professionale dei giovani, rafforzare il ruolo degli Its (che nel 2017 in Italia contavano solo 9 mila studenti, contro i 760 mila della Germania e i 530 mila della Francia), integrare, in un percorso organico, le esperienze di alternanza scuola-lavoro e i diversi percorsi in apprendistato, che includano anche una tipologia dedicata alle tecnologie 4.012, nonché rafforzare i dottorati industriali”.
Determinanti anche le competenze manageriali, “perché la maggiore complessità organizzativa e il ripensamento del processo di generazione del valore all’interno dell’azienda richiesti dalla trasformazione digitale non possono essere gestiti senza l’apporto di figure apicali professionali in affiancamento agli imprenditori”. L’unica politica industriale ad oggi attiva a livello nazionale – sottolinea Csc – è rappresentata dal Temporary Export Manager, “destinata però ai soli processi di internazionalizzazione delle piccole e medie imprese”. Allargare questa misura di sostegno ad altre figure manageriali o promuovere su più ampia scala iniziative già esistenti che stanno riscuotendo un notevole interesse da parte delle imprese, come il Programma Elite di Borsa Italiana, sono solo due delle possibili strade perseguibili indicate da Csc.
Last but not least: superare l’eccessiva frammentazione degli investimenti, anche quelli in tecnologie 4.0 attraverso un coordinamento tecnico-produttivo lungo le filiere “per accrescere il ritorno economico degli investimenti nonché rafforzare la posizione contrattuale delle imprese fornitrici italiane nei confronti dei committenti esteri”. Secondo Csc potrebbe essere maggiormente valorizzato il contratto di Rete, “che negli anni scorsi si è dimostrato efficace nell’accrescere la resilienza delle imprese italiane di minori dimensioni rispetto agli effetti della crisi economica”. Senza dimenticare, poi, l’importanza di rendere pienamente operative ed efficaci le iniziative, già avviate – dai Digital Innovation Hub e dai Competence Center – così come di dare continuità alla politica dei Cluster tecnologici, “strumenti indispensabili anche per avvicinare il mondo della ricerca scientifica a quello delle imprese”.