Investire sulla formazione continua ed avere una governance che sappia guidare i processi di transizione. Ma anche incentivare l’evoluzione digitale delle Pmi. Sono questi i tre requisiti principali della via italiana all’industria 4.0, emersi durante la conferenza di Confassociazioni intitolata quest’anno “Lavoro 4.0: quali scenari, quali prospettive”. L’evento organizzato dalla Confederazione delle associazioni professionali è stato l’occasione per inquadrare le sfide che legano il lavoro alla nuova rivoluzione industriale, avanzando alcune giocate d’anticipo.
“Dobbiamo considerare l’avvento dell’industria 4.0 non come una crisi, ma come un cambiamento della società e non solo del mondo del lavoro – ha avvertito Giuliano Poletti, ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali -. Bisogna certamente saper governare i processi, ma abbiamo una grande opportunità e le imprese che sapranno innovare vedranno crescere il proprio ruolo nel mercato”. Poletti ha ricordato l’importanza del “Tavolo del Lavoro che Cambia”, iniziativa portata avanti dal ministero del Lavoro con il Miur e il Mise, per il cui sviluppo “sarà sempre più cruciale il ruolo incentivante degli investimenti in sapere, conoscenza e formazione”.
L’industry 4.0, ha sottolineato la segretaria della Cgil, Susanna Camusso, pone il Paese “per la prima volta davanti ad una rivoluzione industriale che, a differenza delle precedenti che la società ha affrontato in passato, non offre un tempo di transizione”. Una rivoluzione così unica che, secondo Camusso, non solo “ci ha fornito gli strumenti per lavorare slegati dagli orari” ma al tempo stesso pone alcuni temi nuovi come il “diritto alla disconnessione, perché la pervasività degli strumenti che ci fanno essere connessi alla rete è diventata tale da porre un problema di cui alcune aziende si stanno già occupando”.
La numero uno del sindacato ha dedicato ampio spazio del suo intervento al tema della formazione, spiegando che “un problema pressante è dato da coloro che sono entrati nel modo del lavoro in epoca pre-digitale e gli esperti ci dicono che per questi lavoratori non ci sarà un futuro nel nuovo mondo 4.0. Ecco perché, ha aggiunto, “diventa fondamentale che una consistente parte dei lavoratori entri da subito nel processo di formazione in nuove tecnologie” e devono essere “ancora una volta le scelte sociali, con la guida della politica, a guidare esattamente come in passato il percorso che porterà a superare il gap delle competenze del futuro”.
Lo tsunami digitale, ha ricordato poi il presidente di Confassociazioni, Angelo Deiana, “si dispiegherà su tutti i nostri contesti economici e sociali e non possiamo non iniziare dal tema del lavoro, che ci vede in prima linea con i player principali del mondo del lavoro e delle imprese per individuare opportunità, trend evolutivi, smart working, competenze digitali e politiche attive per i giovani e per le donne”. Il Paese, secondo Deiana, deve puntare sulla formazione tecnologica: “È quanto mai cruciale per i lavoratori. Oggi per esempio possiamo trasformare il tempo improduttivo utilizzato da chi naviga in rete, con meccanismi formativi, proprio grazie alle nuove logiche fornite dal mondo 4.0”.
Andrea Mandelli, vicepresidente della Commissione Bilancio del Senato, ha dichiarato: “Siamo di fronte alla rivoluzione digitale e la politica sicuramente, se saprà dare ascolto alle esigenze delle Piccole e Medie imprese in termini di semplificazione, incentivi fiscali e formazione, potrà giocare un ruolo cruciale affinché le Pmi possano essere protagoniste della rivoluzione 4.0”.
L’assessore alle Politiche del Lavoro della Regione Lazio, Lucia Valente, si è concentrata sulle sfide che attendono i liberi professionisti sostenendo che per loro “si è già aperto un mondo nuovo: le tecnologie 4.0 stanno già cambiando il mondo del lavoro, basti pensare all’utilizzo delle stampanti 3D, all’Internet of Things o alla realtà virtuale e che sono già utilizzate nelle imprese. Bisogna puntare sulla formazione e sull’incentivo agli investimenti in tal senso”.
Per Oscar Di Montigny, fondatore della Mediolanum Corporate University, “se tra cinque anni saremo nel business come ci siamo adesso, saremo fuori dal business. Tra poco tempo, infatti, il mondo ci farà domande nuove a cui non potremo più rispondere ricorrendo ai nostri soliti paradigmi, appartenenti ad un’epoca oramai al tramonto. E questo tempo è già alle porte. La vera differenza non starà però nel cambiamento ma nel saper orientare questo cambiamento così veloce. Servono nuovi eroi alla guida della società civile, delle istituzioni e delle imprese”.
Solo se le imprese manterranno alta la loro competitività “potremo avere dal 4.0 un saldo occupazione/disoccupazione positivo – ha spiegato Aurelio Regina, presidente Manifatture Sigaro Toscano -. Uno studio sull’occupazione alla luce dell’avvento del 4.0 realizzato in Germania dimostra che l’Italia potrebbe trovarsi a non subire negativamente l’impatto delle nuove tecnologie sul proprio comparto lavorativo”. A fronte di posti di lavoro persi “ne nascerebbero circa 2 milioni dal ricollocamento in Italia delle Imprese che sono andate all’estero e circa altri 7 milioni verrebbero proprio dalle aziende che offriranno servizi alle aziende 4.0. Il Governo sta andando poi proprio nel senso dell’incentivazione alle Imprese ed il decreto per lo sviluppo della banda larga dimostra proprio questo”.