Negli ultimi cinque anni, i dieci Paesi al mondo più attivi nella ricerca sull’intelligenza artificiale hanno prodotto oltre 1,1 milioni di paper scientifici sull’argomento: 318mila la Cina, 275mila gli Stati Uniti e 45mila l’Italia, che è nella top ten, al nono posto, in questa speciale classifica. Numeri frutto di un progresso tecnologico che continua ad accelerare a un ritmo velocissimo. Insomma, l’intelligenza artificiale continua a evolversi e a diventare più sofisticata. Non solo si moltiplicano i modelli di AI, ma crescono anche le sue applicazioni e ogni giorno nascono nuovi servizi basati su questa tecnologia. Molti di questi servizi sono dedicati alle imprese, come ad esempio gli assistenti virtuali. E di conseguenza, aumenta anche l’applicazione dell’AI all’interno delle aziende, di ogni dimensione: dalle multinazionali alle pmi.
Nonostante ciò, la penetrazione dei servizi basati sull’intelligenza artificiale all’interno delle imprese procede a un ritmo decisamente più lento. Come mai? A fare il punto è Gianluca Maruzzella, co-founder & ceo di Indigo.ai, il quale spiega che, secondo un’analisi di Eurostat, all’interno dell’Unione Europea solo due aziende su dieci usano l’intelligenza artificiale: in Italia il dato scende addirittura al 6%. Ma c’è da considerare che il nostro è un mercato che ha fortissime potenzialità: si pensi che Assintel ha recentemente stimato che arriverà a 1,4 miliardi di euro alla fine dell’anno prossimo, dagli 860 milioni di euro del 2021, con una crescita del +40% sul triennio.
Il nodo delle competenze digitali in azienda
Questa fotografia restituisce un’immagine duplice: da un lato un mercato in fermento, dall’altro un’evidente problematicità nella messa a terra da parte delle imprese, probabilmente legata alla comprensibile difficoltà di stare al passo con la rapidità di evoluzione che caratterizza questa tecnologia. “Le imprese devono poter capire con chiarezza che tipo di servizio e di vantaggi possono ottenere per decidere di investire e applicarlo in azienda – puntualizza Maruzzella -. Ma spesso, questo, è un tipo di informazione a cui non hanno accesso. Infatti, se chi è esperto di intelligenze artificiali può comprendere al volo i vantaggi e le potenzialità dell’applicazione dell’AI nelle aziende, ad esempio, snellire i processi, aiutare i dirigenti a prendere decisioni basate sui dati, aumentare l’efficienza organizzativa, migliorare il rapporto e la comunicazione con clienti e utenti, ottimizzare la gestione del magazzino, automatizzare processi standardizzati liberando risorse per altri progetti, è anche vero che nelle imprese, oggi, specialmente in Italia, mancano delle figure professionali che possano cogliere questi vantaggi. Mancano, insomma, i cosiddetti data scientist“.
“Ci sono poi servizi di intelligenza artificiale, come il nostro, che permettono alle aziende di “superare” questo gap professionale e ad esempio di creare un assistente virtuale in modo estremamente semplice e comprensibile anche per chi non mastica nulla o quasi di tecnologia, informatica, big data e AI – prosegue il ceo di indigo.ai – . Ma che ha capito che un servizio di questo tipo può portare giovamento al proprio business”.
Ritratto del data scientist di domani
Secondo l’Osservatorio del Politecnico di Milano, nel 2021 il numero di data scientist è cresciuto del 28% rispetto all’anno precedente. Tuttavia, non si tratta di una progressione omogenea dal momento che riguarda solo le grandi imprese e in particolare quelle che avevano già iniziato a investire nel passato. Il 49% delle grandi aziende ha in organico almeno un data scientist e il 59% almeno un data engineer. Ma nelle piccole e medie imprese, nella maggior parte dei casi, queste figure mancano.
“Da operatori del settore, noi di indigo.ai possiamo dire che si tratta solo di una questione di tempo – fa notare Maruzzella -: l’accelerazione del mercato e l’aumento delle sperimentazioni richiedono nuove competenze che ad oggi sono in formazione. Infatti stanno aumentando anche in Italia, forse non abbastanza velocemente, i corsi universitari specificamente dedicati a formare questo tipo di professionisti che presto verranno immessi nel mondo del lavoro. Queste figure saranno in grado di valutare quali servizi basati sull’intelligenza artificiale potranno portare benefici nella propria azienda, di qualsiasi dimensione essa sia e in qualsiasi settore produttivo. L’AI del resto è una vera e propria commodity al servizio delle imprese e forse per questo, alle volte, risulta difficile da comprendere, perché non si tratta di un prodotto specificamente adatto a risolvere una singola esigenza, ma di uno strumento personalizzabile potenzialmente in grado di risolverle tutte”.
“Il futuro data scientist – conclude il ceo – sarà in grado di comprendere che l’intelligenza artificiale è come l’elettricità. Pervasiva, onnipresente nelle nostre vite, eppure la maggior parte di noi non è in grado di spiegare esattamente cosa sia e come funzioni, anche se la utilizziamo tutti i giorni. E questo, questa trasparenza, questa immediatezza, è proprio il bello di una tecnologia che sa essere davvero a servizio delle imprese e delle persone”.